SIAMO SCHIAVI DEGLI ALGORITMI DELLA DELIVERY?

Un'analisi dell'impatto del food delivery sulla cultura gastronomica italiana

IL NUOVO ADAGIO DEL COMMERCIO MODERNO
Un vecchio adagio del commercio recitava in un tempo che sembra ormai lontanissimo: “Il cliente ha sempre ragione”. Nell’era della food delivery moderna, questa massima si è trasformata in qualcosa di più sottile e pervasivo: “L’algoritmo sa sempre cosa vuoi mangiare”. In questa metamorfosi paradigmatica, si nasconde una rivoluzione silenziosa che ha ridefinito il rapporto millenario tra l’uomo e il cibo, trasformando l’atto del nutrirsi da scelta consapevole a risposta algoritmica.
Nella geografia sentimentale della cucina italiana, dove ogni piatto racconta una storia di territorio e tradizioni familiari, si sta consumando una trasformazione che va ben oltre la semplice comodità. Il mercato italiano della consegna a domicilio ha raggiunto nel 2024 un valore di oltre 2,3 miliardi di euro, secondo l’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm-Politecnico di Milano mentre, a livello globale, Statista prevede che il settore supererà i 500 miliardi di dollari entro il 2025. Numeri che testimoniano una metamorfosi epocale nel modo in cui concepiamo l’esperienza gastronomica.
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LA GEOGRAFIA DEL COMFORT DIGITALE
Il cuore pulsante di questa rivoluzione resta ancorato alle radici più profonde della tradizione italiana: la pizza, regina indiscussa del delivery nostrano. Deliveroo conferma che nel 2024, tra i piatti della tradizione italiana, la Margherita è stata il piatto più ordinato, seguita dalla Carbonara e dall’hamburger, un trittico che racconta l’incontro tra capi saldi tradizionali e globalizzazione culinaria.
Just Eat estende questo primato anche alle province minori, dove il delivery ha conosciuto una crescita a doppia cifra nel periodo post-pandemico.
La democratizzazione digitale del gusto ha superato le barriere generazionali: se il 60% degli utenti ha tra i 18 e i 45 anni, la fascia over 55 è in forte crescita, segno che la semplicità delle applicazioni è riuscita a conquistare anche chi sembrava più distante dalla rivoluzione tecnologica. Ancor di più, generazioni diverse si incontrano negli ordini “familiari” dove convergono cibi che rispecchiano la varietà.
Guardando uno scontrino medio, non è più così raro trovare abbinamenti impensabili nella ristorazione tradizionale come: pizza e sushi, hamburger e ramen, pasta e pokè.
Questo fenomeno rappresenta una rottura paradigmatica con la concezione tradizionale del pasto come momento di condivisione familiare e sociale.
 
L’ARTE CULINARIA RISCRITTA DALL’ALGORITMO
Le piattaforme non si limitano a soddisfare un bisogno: lo anticipano, lo stimolano, a volte lo creano dal nulla. La geolocalizzazione rivela le pizzerie o ristoranti etici più vicini, gli algoritmi di ranking favoriscono i locali con migliori recensioni e tempi rapidi, i programmi di “lettura” delle preferenze profetizzano le prossime mode culinarie, il tutto mentre le notifiche push sussurrano che il nostro piatto preferito è “in offerta solo per oggi”.
Non si tratta di schiavitù digitale ma di un’adesione volontaria a un ecosistema che ci facilita l’esistenza in cambio di qualche euro aggiuntivo e di un frammento della nostra privacy.
Questo meccanismo ha trasformato radicalmente il panorama ristorativo italiano. Dove un tempo la reputazione si costruiva attraverso generazioni di clienti fedeli e passaparola di quartiere, oggi sono complessi algoritmi a determinare il successo di una pizzeria. Molti ristoratori, inizialmente diffidenti, hanno dovuto reinventare le proprie ricette e filosofie culinarie per adattarsi alle esigenze del delivery.
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LE METAMORFOSI DELLA PIZZA: DALL’ESPERIENZA AL PRODOTTO
Se, all’inizio, molti ristoratori guardavano con sospetto alla consegna a domicilio, oggi assistiamo a una vera e propria rivoluzione nella concezione del piatto. Sempre più pizzerie sviluppano linee di prodotto pensate esclusivamente per il trasporto: dalle pizze parzialmente precotte agli imballaggi ingegnerizzati che mantengono calore e fragranza senza compromettere la consistenza.
Startup italiane hanno investito in packaging brevettati capaci di ridurre la condensa e mantenere la pizza “come appena sfornata” e lavorano quotidianamente per migliorare l’esperienza del consumatore e fruitore di questo servizio.
La sfida non è più semplicemente portare a domicilio un piatto caldo ma ricreare l’esperienza sensoriale della sala, trasferendo nell’ambiente domestico quell’atmosfera conviviale che da sempre caratterizza la cultura gastronomica italiana.
È una rivoluzione copernicana: il ristorante non è più un luogo fisico ma un concetto che si estende fino alla tavola di casa, lasciando al cliente finale la scelta di come e dove fruire il suo piatto preferito.
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L’ESPANSIONE DEL DOMINIO ALGORITMICO: DAL PIATTO ALLA DISPENSA
Accanto alla ristorazione, cresce un altro universo digitale: il delivery della spesa a domicilio. Secondo NielsenIQ, nel 2025 il 23% delle famiglie italiane utilizza regolarmente servizi come Glovo Market, Everli o i canali diretti dei grandi supermercati.
Qui la logica rimane invariata: comodità estrema, con il carrello virtuale che diventa un prolungamento tecnologico del frigorifero domestico.
Ma, anche in questo ambito, l’algoritmo indirizza sottilmente le nostre scelte: i prodotti in promozione non sono sempre quelli che avremmo acquistato spontaneamente ma quelli che la piattaforma vuole spingere attraverso accordi commerciali strategici.
McKinsey evidenzia che oltre il 40% degli acquisti “d’impulso” sulle piattaforme di spesa online deriva da suggerimenti algoritmici, rivelando quanto profondamente questi sistemi influenzino le nostre decisioni quotidiane.
 
LE OMBRE DELL’ECOSISTEMA DIGITALE
Dietro la patina lucida della comodità si celano le contraddizioni di questo modello: margini ridotti per i ristoratori, commissioni elevate delle piattaforme (tra il 20% e il 35% del valore dell’ordine), e condizioni spesso precarie dei rider.
Un sistema che, in nome del comfort del cliente, ha trasferito rischi e costi sulle spalle della filiera produttiva.
L’AGCM ha avviato ripetute verifiche sulle pratiche commerciali delle principali piattaforme, senza riuscire a incidere significativamente sul modello dominante.
Nonostante queste criticità, un sondaggio Doxa-Deliveroo del 2024 rivela che l’86% degli italiani considera la food delivery un servizio che migliora la qualità della vita, mentre solo il 12% lo percepisce come spesa superflua.
La comodità si conferma la valuta con cui paghiamo la nostra adesione a un ecosistema che pretende di conoscere i nostri gusti meglio di noi stessi.
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VERSO UN FUTURO GASTRONOMICO PREDITTIVO
Le prospettive future si articolano su due direttrici apparentemente contrastanti. Da un lato, l’ulteriore sofisticazione degli algoritmi predittivi: sistemi di intelligenza artificiale che suggeriscono piatti non solo in base alle abitudini consolidate ma al nostro stato emotivo, rilevato da dispositivi indossabili e pattern comportamentali.
Alcune piattaforme sperimentano già sistemi capaci di proporre comfort food nei giorni di maltempo o snack proteici dopo sessioni sportive tracciate da smartwatch.
Dall’altro, emerge la questione della sostenibilità ambientale: secondo il WWF, nel 2024 il settore delivery europeo ha prodotto circa 600.000 tonnellate di rifiuti da imballaggi monouso.
Le piattaforme dovranno trovare un equilibrio tra velocità ed ecologia, forse attraverso contenitori riutilizzabili o flotte di rider elettrici.
La vera sfida culturale dei prossimi anni sarà preservare quella dimensione creativa, umana e libera che da sempre caratterizza l’atto del cucinare e del condividere il cibo.
In un mondo dove un click trasforma la fame in esperienza commerciale, ricordare che la cucina rimane un linguaggio d’amore e creatività diventa un atto di resistenza culturale.
Perché alla fine, mentre gli algoritmi pretendono di nutrire i nostri corpi, tocca ancora a noi decidere cosa nutrire delle nostre anime.
 
L’EREDITÀ DI UNA TRASFORMAZIONE CULTURALE
In questa transizione epocale, la domanda centrale rimane aperta: siamo diventati schiavi inconsapevoli degli algoritmi o semplicemente complici consapevoli di un modello che semplifica l’esistenza quotidiana?
La risposta probabilmente sta in una zona grigia dove convenienza e dipendenza si mescolano in proporzioni variabili.
Il vero rischio non risiede nella tecnologia in sé ma nella graduale perdita di consapevolezza alimentare.
Quando l’algoritmo conosce i nostri desideri meglio di noi stessi, quando le notifiche anticipano la fame e le offerte mirate creano bisogni inesistenti, rischiamo di trasformare l’atto del nutrirsi da scelta culturale consapevole a risposta condizionata.
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di Domenico Maria Jacobone

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