Pizza e Pasta italiana
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Editoriale del Mese
Della bellezza come dell’amore ne parlano tutti, ciascuno secondo il suo proprio stile. Quando, in un’altra vita, ho trascorso qualche anno da insegnante in una scuola media, ne ho parlato anche io. Nelle ore di educazione civica, in-fatti, non di rado invitavo i ragazzi a interrogarsi sul senso della bellezza. E lo facevo partendo da alcune immagini che raccontavano cosa si intendesse per una persona o una cosa “bella” attraverso i secoli e, talvolta, i millenni passati. In questo modo, cercavo di invitarli ad andare oltre gli stereotipi, a evitare di assecondare modelli pubblicitari (semmai essi esistano, per davvero), a riflettere su cosa li colpisse veramente nell’aspetto fisico e nei modi di fare e di essere di una persona. Il risultato era sempre sorprendente.
Parlare di bellezza vuol dire parlare di cultura: non a caso, il patrimonio mondiale dell’umanità tutelato dall’Unesco (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’arte e la cultura) è definito come “un prodotto dell’uomo o della natura che possiede un eccezionale valore universale per l’intera umanità, indipendentemente dall’appartenenza politica del luogo in cui si trova”.
Ma cosa può insegnarci la bellezza? Sicuramente, educare alla bellezza vuol dire allontanare il perico-lo di far prevalere il narcisismo e la sopraffazione, apprezzarla senza violarla, imparare a usare i modi e le parole giusti per definirla e raccontarla ma an-che riconoscere il bello di una conquista, scegliere la dimensione di vita più incline all’apprezzamento di ciò che di bello c’è nel mondo che scegliamo di vivere e costruire. E di questo parliamo anche in queste pagine di “Pizza e Pasta Italiana” che vanno alla ricerca dei luoghi della bellezza in cui sorgono ristoranti e pizzerie, di locali che popolano le desti-nazioni più battute, di storie di birra che meritano davvero di essere narrate perché “belle” in senso greco, ossia storie che hanno ordine, proporzione, simmetria ed armonia, come sarebbe piaciuto a Policleto, lo scultore che, con uno scritto e una statua, formulò la prima “teoria del bello”. Nelle pagine che avete tra le mani parliamo, dunque, di pizza, cucina e birra come beni culturali, patrimoni, storie; parliamo di quei luoghi che si distinguono per l’attenzione al bello in uno o più dettagli della propria offerta; parliamo di ciò che è bello che – ricordiamolo sempre – è diverso da ciò che piace. Perché dire bellezza è dire, in altre parole, cultura: solo che ci fa meno paura.

di Antonio Puzzi
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