Le altre farine

La storia gastronomica del nostro Paese è contrassegnata spesso da ricette che derivano più dalla necessità che dal gusto, più da strategie di sopravvivenza che da scelte volute. Ne è un esempio l’ampia famiglia delle farine alternative che, in particolare in alcune zone d’Italia, ha lasciato tracce consistenti e molto gustose nella tradizione culinaria regionale. Versatili, dal sapore caratteristico e impiegate trasversalmente sia per preparazioni salate che dolci, sono un universo da scoprire che riserva piacevolissime sorprese, ben oltre le più scontate zuppe e vellutate.
 
Farina di castagne
Si deve a Senofonte, nel IV secolo a.C., la definizione del castagno come “albero del pane”, termine che attraversa i secoli e rende giustizia a una pianta i cui frutti trovarono notevole apprezzamento nel Medioevo, quando carestie, scarsità di raccolti o indisponibilità di cereali costrinsero intere popolazioni a rivolgersi al castagno come alternativa al pane. Frutti saporiti e farinosi, le castagne sono raccolte in autunno, quando i ricci cadono spontaneamente dalla pianta. Estratte dai ricci, le castagne vengono sistemate in sacchi e portate in piccoli essiccatoi dove vengono essiccate per una ventina di giorni. Vengono quindi battute, per pulirle dal guscio e quindi tostate. L’ultima fase è quella della macinatura: poste in un mulino ad acqua o in pietra, macinate e setacciate, le castagne si trasformano in una farina dalla grana uniforme. Il sapore è peculiare e riconoscibilissimo per le note dolci e leggermente terrose.
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Nel nostro Paese ci sono due farine di castagne a marchio DOP che vale la pena conoscere e che dicono molto della tradizione della castanicoltura in Italia centrale. La Farina di Castagne della Lunigiana è una delle eccellenze del territorio e, di fatto, la sua zona di produzione coincide con il territorio della Comunità Montana della Lunigiana. Le varietà di castagni da cui si ottiene sono: Bresciana, Carpanese, Fosetta, Marzolina, Moretta, Primaticcia, Rigola, Rossella e Rossola (Bresciana, Carpanese e Rossola devono raggiungere almeno il 70%). Dopo la raccolta – che avviene tra il 29 settembre e il 15 dicembre – le castagne vengono essiccate in “gradili”, essiccatoi in muratura di pietrame, calce e sabbia, a due piani, il cui pavimento è di lastre di pietra arenaria.
 
L’essiccazione deve avvenire a fuoco lento, usando solo legna di castagno, per almeno 25 giorni. Quindi le castagne vengono pulite dalla buccia esterna e ventilate a macchina per eliminare le impurità. Il Disciplinare prevede che il mulino non debba macinare più di 5 quintali di castagne secche al giorno: questo consente alla farina di mantenere la sua peculiarità, cioè la “borotalcatura”, consistenza vellutata al tatto e fine al palato. Il colore va dal bianco all’avorio, il sapore è dolce ed il profumo intenso. In cucina viene impiegata per molti piatti, dalla pattona (pattòna) alle focaccine (cian), dalle frittelle cotte in padella (fritei, padléti) alle lasagne, fino al pane (pane marocca).
 
Se vi sono testimonianze archeologiche che dimostrano la presenza del castagno in Lunigiana dal I secolo d.C. e la sua affermazione successiva tra il V e il VI secolo, altrettanto antichi sono i cenni storici relativi alla presenza del “neccio” – dall’aggettivo medievale castanicius, ovvero ‘relativo alla castagna’ – in Garfagnana, risalendo fino al VII e VIII secolo d.C. Il territorio è quello della provincia di Lucca: qui, tra le Alpi Apuane e l’Appennino tosco-emiliano, il neccio ha sempre rappresentato una preziosa fonte di sostentamento per le comunità di montagna.
 
DOP dal 2004, la Farina di Neccio della Garfagnana si produce in un’area di 18 comuni dell’alta provincia di Lucca, per un totale di 3500 ettari di castagneti. Raccolte tra ottobre e novembre, le castagne vengono quindi essiccate: poste nei “metati” (piccoli edifici in pietra costruiti nei boschi, suddivisi in due spazi da un graticcio di asticelle in legno rimovibili, con prese d’aria che permettono al fuoco sottostante di ardere senza fiamma), si lasciano ad essiccare per almeno 40 giorni. Sbucciate, vengono macinate a pietra nei mulini, anche in questo caso non superando i 5 quintali al giorno. Il prodotto finale è una farina naturalmente dolce e dal lieve retrogusto affumicato. In cucina, si trasforma in castagnaccio, menafregoli (budini dolci cotti nel latte, ricotta o panna, oppure nel brodo di maiale o pollo) o nella produzione della pasta secca.
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Farina di ceci
Tra i legumi più usati al mondo (al terzo posto dopo soia e fagioli), il cece è un ingrediente assai versatile. Anche in questo caso, la farina è il risultato della macinazione dei semi secchi, raffinata. Tratteggia la gastronomia di alcune delle più note ricette regionali del nostro Paese, come la farinata e la panissa liguri o le panelle siciliane. Tralasciando le origini leggendarie della farinata (che si vuole nata per caso nel 1284, al ritorno delle navi genovesi dalla battaglia della Meloria contro Pisa, quando una tempesta fece rovesciare i barili d’olio e farina di ceci a bordo della flotta genovese) resta la golosità di un prodotto semplicissimo, fatto solo con farina di ceci appunto, acqua, olio e sale. Varianti regionali della più nota farinata sono la belecauda (basso Piemonte, in Monferrato e dintorni), la cecina toscana, la fainè sassarese, la fainò di Carloforte, i ceci ferraresi.
 
Altrettanto gustosa è la panissa, di fatto una polenta fatta con farina di ceci, tagliata a pezzetti e fritta. Ci si sposta in Sicilia invece per le panelle, immancabili, in coppia con il pane, per uno dei simboli dello street food dell’isola. Si tratta di sottili frittelle di farina di ceci da mangiare calde e condite con sale e limone, servite in un panino. Tradizionale cibo povero e popolare, pare tragga origine dalla dominazione araba in Sicilia. Oltre ai ceci, vale la pena menzionare altri legumi dai quali si può ricavare farina, per essiccazione e macinazione. La consistenza è simile a quella della farina tradizionale, a variare sono invece colore e sapore, oltre ovviamente alle proprietà nutrizionali. Prive di glutine, hanno una buona quantità di proteine, fibre e sali minerali.
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Farina di fagioli
Ha colore bianco e si ricava dalla polverizzazione dei semi secchi e crudi. Nel nostro Paese si ottiene soprattutto dalla varietà Borlotto. Si ricava in genere attraverso la criomacinazione, processo che prevede l’uso dell’azoto liquido per la rottura dei semi in mulini che invece di avere delle macine hanno dischi in acciaio che ruotano velocemente. È ricca di vitamine e minerali, proteine vegetali e carboidrati complessi. Può essere usata per panificati e pasta fresca.
 
Farina di piselli
Ha colore verde acceso e, per ottenerla, i piselli sono essiccati e frantumati. Ha sapore dolce e piacevole e può essere impiegata in preparazioni come crepes, biscotti salati o lievitati senza glutine. È ricca di proteine e carboidrati, e vanta buone concentrazioni di sali minerali (potassio, fosforo e ferro).
 
Ha colore tendenzialmente verde ma, a seconda della varietà usata, può essere anche rossa. Ha un elevato contenuto proteico ed è ricca di sali minerali, soprattutto ferro. Può essere impiegata aggiungendola alla farina tradizionale nella panificazione, o per farne crepes.
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di Caterina Vianello

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