Non c’è estate senza piadina!

Farina, acqua, sale, strutto. In qualche caso, quest’ultimo sostituito da olio extravergine di oliva. Quattro ingredienti, dunque, in quantità variabili e in un rapporto di proporzione che è il segreto di ogni artigiano, sono le carte vincenti di uno dei prodotti più amati d’Italia: la piadina.

“Quando ti senti solo, triste e depresso, c’è la piadina” recitava il testo di una celebre canzone satirica di origine romagnola portata al successo dalla tv commerciale tra fine anni ’90 e inizio 2000.

Ed è proprio così: lei, però, ovvero la piadina, protagonista delle nostre estati in riviera, conosciuta da tutti anche grazie al patrimonio fieristico dell’Emilia Romagna che ci ha portato tutti almeno una volta nella vita a Rimini, Parma o Bologna, deve il suo successo anche alla versatilità dei suoi utilizzi e alla immediata riconoscibilità da parte di chiunque ne assaggi una. Tutte le culture del mondo hanno infatti inventato un pane basso per avvolgervi al proprio interno la carne, fresca o stagionata, cotta o cruda, a fette o in polpa.
image005.jpg
Ed ecco perché, turisti e gente del luogo, fanno la fila per accaparrarsi questa “versione italiana” con crudo e squacquerone (in origine) proposta però – come nella migliore delle tradizioni innovate – anche con molteplici altri gusti per accontentare il palato di tutti. La piadina romagnola è tutelata da un Consorzio che ne disciplina l’utilizzo del nome e del marchio. Nel corso degli anni, l’impegno del Consorzio ha portato all’ottenimento del riconoscimento della denominazione di Indicazione Geografica Protetta (IGP), obiettivo che è stato raggiunto il 24 ottobre 2014. Attualmente il Consorzio conta 12 realtà di diversa grandezza fra aziende artigianali, industriali e chioschi appartenenti alle zone della Romagna. L’ammissione a socio del Consorzio di Promozione e Tutela della Piadina Romagnola IGP è aperta ai preparatori che sono impegnati nella produzione della Piadina o Piada Romagnola in forma singola.
image006.jpg

piadina

A portare agli onori della lingua italiana il termine piada fu Giovanni Pascoli che “italianizzò” così la parola romagnola piè.

Pascoli elogia la piadina definendola il pane nazionale dei Romagnoli ma, nei territori vocati alla sua produzione, sono state rinvenute tracce dell’utilizzo di un sostituto del pane fatto con farina grezza, cerali e di forma circolare, risalenti al tempo degli Etruschi. Lo stesso Pascoli riscontra le prime tracce letterarie della piadina nel VII canto dell’Eneide di Virgilio quando il poeta romano utilizza, per la prima volta, il costrutto exiguam orbem. Non ci stupisce, in quanto Enea è anche colui che per primo mangiò, in preda ai morsi della fame, la pizza, definita mensa che all’epoca non era altro che un piatto (ritenuto non edibile) su cui poggiare le pietanze. Il Disciplinare di produzione della piadina originale riconosce due tipologie di prodotti: la “classica”, che è compatta, friabile e spessa, caratterizzata da un diametro compreso tra i 15 e i 25 cm e spessa tra 4 e 8 mm; e la “Riminese”, morbida, di diametro maggiore (ovvero tra i 23 e i 30 cm) e più sottile (fino a 3 mm).
Unknown-4.jpeg

piadina IGP

Nel 2020, di Piadina Romagnola Igp si sono prodotte 22.030 tonnellate, registrando un +23,3% rispetto all’anno precedente.

Inoltre, nello stesso anno l’87% della produzione generale di piadina avviene sotto i crismi della denominazione. Secondo i dati di NielsenIQ la vendita di piadina nella grande distribuzione nel corso del 2020 ha superato i 190 milioni di euro con una crescita del 12,4% a valore e del 13,8% a volume rispetto all’anno precedente. La piadina è dunque diventata il testimonial privilegiato di un territorio come la Romagna, conquistando anche il mercato d’Oltralpe. Tra i consumatori di piadina più assidui, vi sono Germania e Austria che importano ben il 70% della produzione certificata che finisce all’estero.
Unknown-2.jpeg
A ottobre del 2021, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la richiesta di modifica al disciplinare che prevede l’introduzione della farina di farro, per assecondare le richieste di un pubblico sempre più attento alla scelta di farine meno “raffinate” e l’aggiunta nell’impasto di latte o miele e di olio di semi di girasole. Probabilmente però, almeno in questo periodo di vertiginoso aumento dei prezzi legati all’olio di semi di girasole, non ci sarà per quest'ultimo la ressa all’utilizzo.
Unknown-7.jpeg
autore.jpg

di A.P.

I “fuori cottura”

Sono l’incubo dei pizzaioli, il cruccio dei proprietari, il simbolo della pizza...

L’agriturismo del futuro

Da tempo diffusi in tutta Italia, gli agriturismi hanno iniziato la loro storia in...

Crisi del personale: è possibile uscirne?

Il mondo cambia e cambia molto velocemente. Basta parlare con le persone anziane....

Per farla romana, ci vuole il mattarello

Provate a digitare su Google “pizza stesa con il mattarello”, tra i primi risultati...

Glutine sì, glutine no. Fa bene o fa male mangiare senza glutine?

Il dibattito sull'inclusione o esclusione del glutine dalla dieta, da alcuni anni, è...