Salsiccia e salame: storia e uso in cucina

Salsicce e salami appartengono da secoli alla tradizione gastronomica del nostro paese. L’origine è comune e rimanda all’utilizzo di carne residua derivante dalla lavorazione di tagli più pregiati. Per capire quanto antica è l’arte di insaccare e lavorare la carne, bisogna risalire al tempo di Etruschi e Romani, guardare all’incontro del mondo romano con quello germanico e passare poi ad uno dei tratti caratteristici del nostro paese: la tipicità e la differenziazione esistente tra regioni, aree geografiche all’interno delle regioni, città e piccoli borghi, ognuno con una tradizione diversa. Andiamo però con ordine.
Al tempo dei romani i salumi si chiamavano insicia (termine che richiama l’operazione di l’insaccamento della carne) o botulus. È solo in tarda epoca latina che si comincia a fare strada il termine salumen, che tuttavia all’inizio indica tutti gli alimenti lavorati con il sale e che solo secoli dopo diventerà esclusivamente riferito alle carni suine insaccate e stagionate. Con la decadenza di Roma e l’arrivo delle popolazioni barbariche, anche le usanze gastronomiche cambiano: grazie ai Longobardi si diffondono progressivamente tradizioni diverse, tra cui quella della lavorazione della carne, in particolare di maiale. Cominciano ad emergere delle zone più vocate all’arte salumaia, che coincidono con i territori in cui la presenza dei Longobardi è più marcata. I primi luoghi di lavorazione sono conventi e le grange, aziende agricole ante litteram, che diventano degli spazi di raccolta delle carni suine provenienti dalle campagne circostanti. Se il termine ancora usato per indicare i salami è salumen, senza specifiche distinzioni, dopo il Mille, a seguito di un consumo sempre maggiore non solo di carne suina ma anche di pesce nordico, bisogna utilizzare parole diverse per distinguere i prodotti: è allora che compare il salamem, affiancato da salacca, che tuttavia non è ancora esclusivo del prodotto. A vendere i “salamem” erano i “Lardaroli”, la cui attività diventa, come molte altre, una corporazione: i lardaroli allora definiscono regole per la produzione e caratteristiche del prodotto, che progressivamente finisce per differenziarsi a seconda dell’area geografica, tratteggiando una vera e propria caratterizzazione territoriale delle ricette, che pian piano definirà la tipicità locale, vero elemento di forza della tradizione italiana.
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Ad emergere, lentamente è anche un gusto differente, con il Nord a prediligere sapori tendenzialmente più dolci ed il Sud a guardare a sapori più decisi.
Nei secoli successivi il successo dei salumi si fa crescente e nel Rinascimento si assiste alla loro definitiva affermazione: la comparsa a corte e nelle ricche tavole di principi e nobili è un segno di una vera e propria consacrazione. A fine ‘500, nel manuale il “Trinciante” di Vincenzo Cervio, compare per la prima volta il sostantivo “salame” e si afferma il nome “salumiere” per l’artigiano che lavora le carni suine. Scompare invece il medioevale “lardarolo” e rimangono, al Centro e Sud Italia i termini “norcino” e “norcineria”. La produzione di salame diventa sempre più diffusa, trasversalmente apprezzata e slegata dalla necessità di recuperare tagli meno nobili, o di conservare sotto sale per lungo tempo: il salame diventa una questione di gusto e di specificità, con termini e denominazioni che diventano ben presto note, come salame Milano o salame Ungherese o salame Napoli. Se l’affermazione di un processo industriale di produzione ha moltiplicato e reso accessibili le possibilità di assaggio, l’elemento territoriale resta ancora vincente, con piccole produzioni di nicchia che meritano di essere conosciute e valorizzate. Le differenze restano quindi il punto di forza della tradizione italiana: anche se le fasi di lavorazione e di produzione sono analoghe (triturazione, miscelazione con sale e aromi, insaccamento e stagionatura sono momenti comuni), l’arte determina sapori assai diversi. Abbiamo infatti più di 100 salami tradizionali riconosciuti: origine della carne, zona di produzione, tipo di taglio impiegato, tipo di grana, tipi di spezie utilizzate (aglio, peperoncino, semi di finocchio, grani di pepe, ginepro), quantità e qualità del grasso, durata e condizioni di stagionatura, forma e dimensioni, affumicatura, muffe ... ognuno di questi elementi contribuisce a restituire un risultato diverso. Se da nord a sud della penisola c’è l’imbarazzo della scelta – il Lombardia ecco il Brianza (Dop), il Cremona (Igp, Lombardia) e Salame di Varzi (Dop), in Emilia Romagna il Felino (Igp) e il Piacentino (Dop), in Sicilia quello di S. Angelo (Igp) – il consiglio, per usare al meglio il salame sulla pizza è quello di aggiungerlo al momento giusto, affinché il calore non secchi la carne.
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Meritevoli di citazione sono il salame di Napoli, a grana fine, forma cilindrica allungata, superficie esterna di colore rosso carico, consistenza compatta e non elastica, odore tipico di affumicato, sapore dolce e caratteristico di affumicatura; la finocchiona toscana, dal colore rosa e che fa della speziatura il suo punto di forza; il salame felino, vanto del parmense, dal colore rosso rubino e dal gusto dolce e delicato. Per gli amanti del piccante, impossibile non citare la ‘nduja calabrese, “salame” unico per consistenza e sapore.
Simile nell’uso ma più versatile sulla pizza è certamente la salsiccia, che tiene bene la cottura alterando solo parzialmente il sapore, e che si può usare fresca - cuocendola in forno per il tempo di cottura della pizza - sbriciolata – in modo tale da rilasciare il suo grasso aggiungendo così sapore - o, se stagionata e molto saporita, aggiunta negli ultimi minuti di cottura. Diffusa anch’essa da nord a sud (e con nomi diversi: luganega, salamella, sala- mina...), trova ugualmente origine nel mondo romano. La prima testimonianza storica si deve allo storico romano Marco Terenzio Varrone, che ne attribuisce l’invenzione proprio ai Lucani: Chiamano lucanica una carne tritata insaccata in un budello, pererchché i nostriri soldati hananno apappreso il modo di prepepararararla dai Lucanani. 
In genere viene prodotta riempiendo un budello naturale con un misto di parti magre (per esempio la spalla) e grasse (pancetta) tagliate a dadini (o tritate) e mescolate con sale. All’impasto così ottenuto vengono aggiunte spezie. Se è praticamente impossibile tracciare un atlante delle varietà regionali (dolci, piccanti, speziate, affumicate), si può tentare una distinzione. 
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Luganega: appartiene alla tradizione culinaria veneta, lombarda e trentina, dov’è riconosciuta come PAT. È composta – in genere - da carne di suino, pepe nero e aglio. Ce ne sono varianti con carne di pecora e cavallo. Salamella: originaria della Lombardia, è un insaccato di puro suino, per la cui preparazione vengono impiegate esclusivamente pancetta e spalla. Le carni vengono aromatizzate con una miscela di spezie e insaccate in budello di montone. Salsiccia punta di coltello: le regioni a più forte vocazione sono quelle del Sud Italia, in particolare Campania, Calabria e Sicilia. È un insaccato a grana grossa ottenuto tagliando a cubetti le parti del maiale come spalla, pancetta, coscia e lardo. Si tratta di tagli che se venissero tritati, con il calore sprigionato dalla macchina, risulterebbero rovinati sia in termini di consistenza che di gusto. Ecco il perché del coltello. Salsiccia toscana: morbida, rotondetta, composta utilizzando spalla e coscia del maiale e insaporita con aglio, pepe nero, e anche timo e rosmarino, è apprezzata per un sapore bilanciato.
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Se ogni regione d“Italia merita di essere valorizzata con la varietà di salsiccia propria del territorio, Possiamo comunque citarare qualche abbinamento sempre valido e qualche proposta più pararticolare.
Tra gli accostamenti migliori, vale la pena sicuramente quello tra la salsiccia e i friarielli (i germogli nella parte più morbida delle cime di rapa), quello tra la salsiccia e le patate - perfetta per la stagione fredda - quello con la salsiccia e il gorgonzola – per i palati che amano gli accostamenti intensi – quella con salsiccia e zucca e con salsiccia e zucchine. Per gli amanti delle tipicità locali, vale la pena segnalare alcune proposte gourmet: è il caso della pizza con salsiccia di maiale nero casertano, provola di Agerola e papaccella riccia napoletana gialla e rossa, o quella con salsiccia di suino brado grigio del Casentino accostata alle patate. 
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Di Caterina Vianello

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