Raffaele Pizzoferro

Pizzaiolo per il cambiamento

Alla Lampara è una storica pizzeria di Udine, oggi gestita da Raffaele Pizzoferro e da sua sorella Fulvia. L’approccio dei Pizzoferro si inserisce nel progetto promosso da Agugiaro & Figna, che coinvolge i pizzaioli più attenti alla sostenibilità e alla qualità, incoraggiando un uso consapevole delle materie prime, il rispetto della stagionalità e, di conseguenza, dell’ambiente. Ed è proprio in questo contesto che Raffaele si distingue come un pizzaiolo per il cambiamento (nome del progetto di cui sopra), capace di trasformare il suo locale senza tradire l’eredità familiare, portandolo a essere un punto di riferimento in Friuli-Venezia Giulia e oltre.
L’attività affonda le sue radici nel 1972 ma è nel 1997, con un cambio di sede, che la pizzeria iniziò a evolversi. Mentre Fulvia era già coinvolta nell’attività, Raffaele aveva altre aspirazioni e sogni ma, col tempo, anche lui iniziò a farsi strada nel mondo dell’arte bianca, soprattutto da quando il loro papà cominciò a stare poco bene. Finché Raffaele entrò a far parte stabilmente dell’azienda.
Inizialmente, il controllo decisionale rimaneva nelle mani dei genitori ma, con il passare degli anni – intorno al 2010 – la responsabilità passò definitivamente ai due fratelli. I quali, dopo anni di routine, si resero conto che seguire la stessa strada li avrebbe portati a uno stallo, rischiando persino la chiusura del locale. Fu così che nacque l’idea di reinventarsi, mantenendo però intatto il tratto distintivo della pizzeria di famiglia: una pizza autentica, servita in un ambiente caldo e familiare, dove il cliente si sente davvero a casa e non deve andare di fretta.
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Questo rinnovamento ha portato a sperimentazioni innovative, dalla ricerca di nuovi impasti e farine, all’accostamento di birre e pizze, sempre seguendo la filosofia del qualità prima del prezzo. Oggi, Alla Lampara è entrata nella Guida di Identità Golose e nella Guida Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso: riconoscimenti prestigiosi, nonostante i quali Raffaele resta umile e con la testa sulle spalle.
 
Raffaele, come avete fatto a mantenere l’eredità familiare, pur evolvendovi così tanto?
Il filo conduttore è sempre lo stesso, semplicemente il prodotto che proponiamo in pizzeria si è aggiornato con il tempo. Magari è una cosa che a qualcuno non piace, però la nostra pizza non è un prodotto statico: non è una pizza napoletana, non è una pizza italiana, è la pizza de Alla Lampara. Adesso il cornicione è leggermente più basso, perché strizza un po’ l’occhio alla pizza napoletana. Non c’è niente di esagerato e niente di estremo, non è un prodotto pedissequamente uguale a se stesso. È un prodotto che ha il suo tratto distintivo, le sue caratteristiche, le sue peculiarità ma che cerca di adattarsi al mondo che cambia.
 
Quanto è cambiato rispetto agli anni scorsi?
L’impasto è rimasto lo stesso. Utilizziamo una farina di tipo 1. In questo periodo, abbiamo deciso di smettere di fare blend di farine. Ho trovato una farina che mi piace e con cui, soprattutto, i clienti sono soddisfatti, perché poi è il cliente ad avere l’ultima parola. Noi possiamo proporre il nostro tipo di pizza ma se alla clientela non piace allora stiamo sbagliando qualcosa; se alla clientela piace, allora va bene. Facciamo una lievitazione che va intorno alle 20 - 24 ore, a seconda del giorno della settimana.
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E, a proposito di cambiamento, tu sei un Pizzaiolo per il cambiamento, appunto: che vuol dire per te?
Partiamo dal fatto che, forse, lo siamo sempre stati, nel senso che abbiamo sposato il progetto di Agugiaro & Figna ma la filosofia ce l’avevamo già dentro di noi. Vuol dire stare attenti a quello che proponiamo ai nostri clienti, sia in termini di impasto sia in termini di topping, a fare meno spreco possibile e a utilizzare meno plastica, ad essere un po’ più attenti all’ambiente che ci circonda, tenerlo in considerazione. Questa è sempre stata la nostra linea. È chiaro che negli ultimi anni il tema della sostenibilità e dell’attenzione green è diventato più centrale. Il fatto di unirci al progetto è stata una normale conseguenza. A gennaio è uscito il nuovo menù della pizzeria, che rappresenta un cambio importante per noi, nel senso che abbiamo smesso di usare tutti quei prodotti vegetali che non sono più stagionali. Tutta quella linea di prodotti che comunque trovi, ma che sono di serra, non sono più utilizzati. Devo dire che la risposta della clientela è stata buona. Ma resta il fatto che non siamo così rigidi.
 
Per esempio?
La Spaccanapoli è la nostra pizza più venduta dopo la Margherita, una pizza molto semplice ma molto saporita, con una base di pomodoro e fiordilatte, melanzane al forno, capperi, olive, aglio, salame piccante e, in uscita, pomodoro secco. Avevamo pensato di togliere le melanzane da questa pizza ma poi la sommossa sarebbe stata popolare e quindi va bene fare l’eccezione e continuare a proporla in quella maniera.
 
E, se ti dovessi immaginare il futuro della pizza fra dieci anni, cosa cambierebbe di più secondo te?
Non so, al di là delle tecniche di impasto – che evolvono continuamente – secondo me ci sarà sempre più una netta distinzione tra la pizza di qualità e la pizza non di qualità. Non solo per il tipo di prodotto ma anche per l’ambiente, il clima e l’offerta food and beverage a 360°; una direzione sempre più verso il ristorante, dove il cliente non è considerato solo un numero. Ad esempio, noi in pizzeria non facciamo doppi turni. Se il cliente prenota per le 20:30, sa che alle 19:30 il tavolo è già suo e, se vuole fermarsi tutta la sera, rimane tranquillamente. Certo, alcuni tavoli vengono riassegnati ma non sempre. L’idea è che l’esperienza complessiva rimanga rilassata e piacevole.
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Hai una pizza che ti rappresenta di più?
Allora, ce ne sono due, completamente differenti. Una è una pizza leggermente piccante, agrodolce, la ’Nduja e Miele: ha una base di crema di pomodoro arrosto, fiordilatte, ’nduja e, quando esce dal forno, foglioline di menta, polvere di olive e miele friulano. L’altra è completamente diversa, la Nero a metà: l’impasto viene steso nella crusca, dando un effetto rustico e, a fine cottura, si percepisce un leggero profumo di popcorn tostato; il topping prevede una base di fiordilatte con cavolo nero saltato, briciole di castagne, fettine di lardo che si sciolgono a contatto col calore e un’emulsione di aglio nero. Questa pizza è davvero di carattere e chi l’ha assaggiata ne è rimasto stupito. Insomma, sono due tipologie di pizze: la ’nduja e miele non è prettamente stagionale, mentre la Nero a metà andrà in letargo con il nuovo menù che uscirà ai primi di maggio.
 
C’è un ingrediente della zona che hai scoperto negli ultimi anni e che ti ha particolarmente sorpreso, tanto da riutilizzarlo sicuramente e a prescindere?
La cipolla di Cavasso, molto dolce e per la quale abbiamo preso ispirazione dalle 4 consistenze di Martucci. Ora che ci penso, nel menù attuale non l’abbiamo riproposta. Ma lo faremo.
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Se dovessi descrivere la tua idea di pizza perfetta in tre parole, quali sceglieresti?
Golosa, accattivante e sana. Golosa, perché deve far venire voglia di mangiarla anche fuori dai pasti; accattivante, perché deve farti venire voglia di mangiarla solo a guardarla. Dopotutto, anche l’occhio vuole la sua parte. E infine, sana in termini proprio di ingredienti, anche in virtù della situazione personale di mia figlia, che è diabetica. Questo per me dovrebbe essere il focus di una campagna nazionale. Quando un cliente, un bambino o una persona diabetica, si avvicina al banco e chiede quanto pesa la sua pallina? oppure quanta idratazione ha l’impasto?, non è per rubare il segreto della ricetta ma per fare un calcolo utile per chi, ad esempio, deve dosare l’insulina. Se dico a mia moglie: in questa pallina di pizza che pesa 250 grammi ci ho messo il 68% di acqua, lei può fare il calcolo dei carboidrati in base alla farina presente. Molti pensano che chiedere queste informazioni significhi voler conoscere il segreto ma, in realtà, è un’informazione utile, soprattutto se venisse sostenuta da una campagna che rendesse il locale più accessibile anche alle persone diabetiche. Perché – credimi – ci sono tante famiglie che hanno rinunciato alla pizza per questo problema. È un servizio che costa veramente niente. Certo, non vuol dire che non ci sia un rialzo glicemico, perché dipende anche dai condimenti ma in modo diverso. In sostanza, se ci fosse una campagna in tal senso, tante persone diabetiche si riavvicinerebbero alla pizzeria perché ora, in molti casi, non ci possono andare.
 
Proponimi un’altra pizza, sempre che rientri nel nuovo menù, che assolutamente devo assaggiare.
Ti proporrei la Ripiegata dell’inverno (che d’estate diventerà la Ripiegata d’estate): il classico calzone ripieno di scarola, capperi, acciughe e olive. In pratica, invece di chiudere il calzone e creare una camera di vapore, lo lasciamo aperto, così nella prima fase di cottura il vapore esce e la scarola si ammorbidisce, rimanendo comunque croccante. È simpatica da mangiare! Anche se la scarola, in Friuli-Venezia Giulia, generalmente viene mangiata cruda. È semplice: la scarola la mettiamo cruda, in modo da avere una doppia consistenza e l’abbinamento classico con capperi, acciughe e olive funziona molto bene. Altrimenti ti direi la Verdure d’inverno: cavolo nero, cavolfiore, radicchio di Treviso, funghi e cubetti di zucca.
 
In ultimo, ma non per ultimo, cosa si prova a essere nella Guida di Identità Golose e nella Guida Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso?
Ci siamo entrati quest’anno. Sono belle soddisfazioni, sono arrivate in due momenti differenti e, ovviamente, ne siamo molto contenti e ci riempie di orgoglio. Anche se non le abbiamo festeggiate come avremmo dovuto, per varie dinamiche. Sarebbe stato bello farlo in maniera più eclatante ma, col senno di poi, c’è sempre tempo per festeggiare!
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di Noemi Caracciolo

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