Pizza, viaggio al Centro d'Italia

Pizze e focacce, bianche, rosse, farcite, cotte a legna dal fornaio o in pizzeria, in pala o in teglia sono le varianti di un'unica forma di cibo di strada. Dalla Toscana all’Abruzzo, passando per Lazio e Umbria, la pizza unta e profumata, incartata calda, da sola o con il companatico a piacere, è una religione. Ogni città o borgo, ogni regione ha il suo nome per identificarla, la sua ricetta per prepararla ma l’essenza non cambia e quel rettangolo di pasta che diventa uno spuntino di metà mattina, il pranzo e perché no, anche una cena in versione asporto, ci sa regalare ad ogni morso tanta soddisfazione.
Tra le regioni del centro Italia, di lunga tradizione contadina, intorno ad ogni tipologia di pizza o focaccia c’è una storia profonda tra il territorio e la cucina, quella del popolo, sicuramente povera, di semplicità che nel tempo si sono conservate e arricchite di nuovi ingredienti, di tecnologia e nuovi impasti. Il termine pizza diventa sinonimo di focaccia, di disco di pasta, a volte azzimo a volte lievitato, che sostituisce il pane e serve da accompagnamento al formaggio o alle zuppe di verdure. Preparazioni antiche di cui è importante conoscere la storia, l’evoluzione e - perché no - anche le ricette.

La Pizza Romana

Se dici Lazio dici Pizza Romana. Quella tonda, bassa e scrocchiarella per capirci, con un cornicione appena accennato, croccante al punto tale che deve saper mantenere il peso della farcitura senza rompersi. Una pizza che negli ultimi anni è tornata prepotentemente in auge, grazie a pizzaioli come Jacopo Mercuro che guardano alla tradizione per costruire la pizza del futuro con la giusta dose di creatività e avanguardia. Il risultato? La pizza romana vive un suo rinascimento, riscoperta in tutta la sua bontà e golosità, è la base per farciture classiche e gourmet, con croccantezza e leggerezza. Nata nel secondo dopoguerra come “accessorio extra” delle trattorie oggi è un must e non si discute. Ma la pizza romana non è solo Lei. Tale definizione racchiude altri due importanti tipi di lievitato: pizza «del fornaro», cioè la pizza cotta nel forno del pane e la pizza in teglia. La prima è la versione più antica di pizza romana, quella bianca e rossa, che tutti i romani doc portano nel cuore. Nata per caso o meglio come test della temperatura del forno. È Roscioli che ieri come oggi porta avanti questa tradizione, migliorando impasti e cotture e riuscendo a fare una delle pizze del fornaro più buone e tipiche di tutta la capitale. E poi c’è la pizza in teglia, vera rivoluzione creativa dello street food. Se inizialmente è un prodotto da rosticceria, poco lievitato, grasso e non molto digeribile, negli anni diventa, grazie alle varianti gastronomiche, un prodotto molto richiesto che spinge all’apertura di numerose pizzerie al taglio in tutta la città. L’aumento di consumo impone anche una maggiore cura nella preparazione. Sarà prima Angelo Iezzi a dedicarsi a lievitazioni a freddo e più lunghe e poi un giovane Gabriele Bonci che con il suo Pizzarium si concentra su miscele di farine, maggiore idratazioni, lievitazioni lunghe che rendono gli impasti soffici, friabili e altamente digeribili. Assistiamo ad una vera e propria svolta innovativa che trasforma la pizza in teglia in un’opera d’arte contemporanea. Ovviamente inutile ribadirlo: la pizza bianca si mangia con un “botto di mortazza” dentro” o con i fichi di stagione. Altimenti non c’è godimento.
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Schiacciata Toscana

Dalla pizza bianca romana alla Schiacciata Toscana il passo è breve. Simili, ma non uguali e con due storie differenti alle spalle. La cosiddetta schiacciata era un tipico piatto contadino, un disco di pasta fatto con acqua e cereali vari macinati, poi “schiacciato” e cotto su pietre roventi, una preparazione antica descritta già da Catone il Vecchio, che nel Medioevo lascia il posto alla cottura al forno. La schiacciata toscana, detta anche “ciaccia” ad Arezzo e in Valdichiana, ma anche “schiaccia”, “stiacciata” o “schiacciata all'olio” prevede un impasto similare al pane fatto con acqua, farina e lievito, con l'aggiunta dell'olio extravergine d'oliva e, in superficie, del sale. Perfetta per essere poi farcita con salumi, verdure e formaggi. Una ricetta semplice che viene declinata in diverse versioni e chiamata con svariati nomi in base al territorio (i toscani sono riusciti a collezionare ben 617 nomi secondo un censimento fatto qualche anno fa da Unioncamere e Accademia della Crusca). C’è il Ciaccino senese, diffuso anche a Firenze, dove è conosciuto come covaccino, mentre a Pistoia viene chiamato cofaccino. Un derivato della vecchia ciaccia impastata con i ciccioli di maiale, una mini focaccia croccante fuori e morbida all’interno che viene solitamente farcita con prosciutto e mozzarella, oppure con salsiccia e verdure ripassate in padella. Una ricetta locale molto golosa vuole il ciaccino ripieno di gota stagionata, salume ricavato dalla guancia del maiale, e pecorino delle Crete Senesi. E poi ci sono le mille focacce toscane. C’è la focaccia leva di Gallicano nella Lucchesia, che al classico impasto aggiunge patate lesse e latte. Più simile al pane è la focaccia pontremolese (Massa-Carrara) che lievita avvolta nelle foglie di castagno. Nella stessa zona, a Fossola, si fa la focaccia di nonno Pilade, che lievita dalle 6 alle 9 ore con uova, semi d’anice, mandorle, nocciole e uva sultanina oltre agli ingredienti base. A metà fra il dolce e il salato è la focaccia bastarda di Pitigliano che somiglia nella forma ad un panettone. A metà fra schiacciata e piadina, ma cotto nei testi è il Panigaccio di Podenzana (MC). La ricetta di base prevede acqua, farina e sale, da mescolare fino a ottenere una pastella fluida che non deve riposare né lievitare. L’impasto viene versato nei testi già arroventati sul fuoco che cuoce in pochi minuti. Infine la Cecìna o torta di ceci, ovvero la versione toscana della farinata ligure, focaccia bassa e croccante a base di farina di ceci e abbondante pepe in superficie. Il nome cecìna viene usato soprattutto a Pisa, ma anche a Lucca e nella Versilia, mentre nella variante livornese è chiamata torta di ceci. Diffusa anche a Carrara, e qui si chiama "calda calda".

Torta al Testo

Figlia della cultura contadina, la torta al testo definita il pane dei poveri, è oggi la regina della tradizione gastronomica umbra. Conosciuta anche come Crescia umbra, è un tipo di pane piatto, basso non lievitato a base di farina, acqua, olio, sale e bicarbonato, dalla forma rotonda dello spessore di circa 3 cm che viene cotto su una piastra di ghisa detta “testo” (da qui il nome), usata in origine come sostituto del pane laddove il pane non era un bene da concedersi tutti i giorni. Il risultato? Una focaccia morbida, saporita, dal gusto delizioso, a metà strada tra una piadina e una focaccia, che può essere consumata da sola al posto del pane oppure farcita con salumi e formaggi di cui l’Umbria è grande produttrice, quali per esempio il capocollo, la lonza o le saporite salsicce locali. Essendo di base poco sapida, la torta al testo si sposa alla perfezione con tutti i sapori decisi. La cottura sul testo era una pratica già diffusa nell’antica Roma, dove le focacce si cuocevano su tegole di laterizio indicate col termine latino “textum”. Tuttavia la diffusione della torta al testo umbra è un’eredità dell’epoca bizantina, quando in Italia vennero introdotte la pita greca e lo yufka, tipico pane turco, di cui la torta al testo può essere considerata parente stretta.
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La pizzetta tonda e la scima

Spostiamoci ora in Abruzzo. Uno dei pezzi forti è la celebre Pizzetta Tonda di Pescara. Siamo nel 1958 sul lungomare di Pescara dove Gabriele Ciferni nel suo stabilimento balneare Trieste crea la sua pizzetta tonda: non troppo alta, friabile sui bordi e soffice all'interno grazie alla cottura nel padellino. Questa pizza in versione street food spopola subito e diventa simbolo di una città, oggi in diverse varianti: dalla classica margherita a quella con alici, con broccoli e salsiccia, carciofi e pecorino e chi più ne ha, più ne metta, rimanendo sempre fedeli ai prodotti tipici locali. Andando più indietro nel tempo tra le antiche preparazioni di pizze e foccacce troviamo qui in Abruzzo la pizzonta, definita anche pizzetta, pizzondella o pizz’onta. Un cibo diffuso tra i contadini di zona preparato con pochi e semplici ingredienti, che spesso diventava la cena di tutta la famiglia. Può essere farcita in mille modi, è irresistibile con la salsa di pomodoro, provola e mozzarella oppure con i peperoni arrosto. Da non dimenticare poi la Pizza Scima. Anche questa ricetta affonda le sue origini nel tempo e nelle comunità ebraiche presenti nella regione. È una focaccia senza lievito (la parola scima, dal dialetto “acime”, significa infatti azzimo), molto bassa e croccante, si prepara con solo quattro ingredienti: farina, vino bianco, olio extravergine e sale, per poi essere cotta sotto il coppo, un grosso coperchio ricoperto di braci e abitualmente consumata come sostitutivo del pane. Oggi si prepara anche nel comune forno di casa, friabile e leggermente unta è ideale per accompagnare salumi, formaggi o verdure.

Fiandone e Pizza Assettata

A metà strada tra Abruzzo e Molise troviamo il Fiadone, focaccia tipica molisana, ma adottata anche dai vicini abruzzesi. Si tratta di una delle ricette più antiche della tradizione dell'Appennino: la sua versione più classica è una sfoglia a base di farina, uova, olio, vino bianco e ripiena di formaggio (solitamente si usa il pecorino o la ricotta). Preparato in occasione delle festività pasquali, ne esiste anche una versione dolce con uvetta e canditi. Tra le focacce molisane più popolari c’è la Pizza di Mais, una sfoglia fatta con farina di mais cotta sotto il tipico “coppo” che serviva da accompagnamento alla minestra di verdura e carne di maiale. Oltre a questa, una delle pizze più diffuse a casa dei molisani è quella di patate, realizzata a partire da un impasto a base di farina, lievito, acqua e patate lesse. E, per chiudere il viaggio nella “regione che non esiste” non possiamo non citare la Pizza Assettata. “Assettata”, ovvero seduta, perché senza lievito più che una pizza è una schiacciata a base di farina, acqua e olio extravergine di oliva e aromatizzata con semi di finocchio e peperoncino.

La crescita e il chichiripieno

Le Marche sono la regione della Crescia: esiste addirittura un’Accademia della Crescia a tutela del prodotto a base di farina di grano duro o mais, uova, acqua, sale, pepe e strutto. Due le versioni: la crescia vonta e la crescia sfojeta (“unta” e “sfogliata”). La prima è molto spessa, e dopo cotta, viene unta con il lardo di maiale e rimessa per qualche secondo sulla griglia. La crescia sfogliata è invece formata da una pasta che viene ripiegata e stesa diverse volte in modo da ottenere più strati. La sfogliata diffusa a Urbino e dintorni viene chiamata anche crostolo. Avete mai sentito parlare del chichiripieno? È una focaccia farcita con peperoni rossi e gialli, olive verdi, alici, tonno, carciofini che vanta origini mediorientali: pare infatti che sia stata importata attraverso dei viaggi commerciali. È una preparazione tipica di Offida, dove la parola chichì in dialetto vuol dire pizza. Stesa in due sfoglie poi sovrapposte con al centro un ripieno costituito da una crema ottenuta tritando e amalgamando insieme tutti gli ingredienti. È il classico antipasto dai ristoranti locali, ma è ottima anche come piatto unico per le gite fuori porta o come aperitivo.
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di Giusy Ferraina

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