Le farine: chiariamoci le idee

Fino a quando la legge non prescrive di indicare nelle confezioni di farina l'origine del grano impiegato continuano gli equivoci

Ci siamo soffermati a lungo sul tema delle farine impiegate in pizzeria – come anche nei forni per il pane, nelle industrie dolciarie e nei laboratori artigiani di arte bianca – poiché si tratta di un argomento che, in mancanza di leggi appropriate, si presta a indicazioni anche fantasiose ingenerando confusone nei fruitori finali: casalinghe, pizzaioli, panificatori artigiani, pasticceri, ecc.
Qui non si mette in discussione la qualità delle farine, dal momento che quelle che escono dai mulini italiani devono rispondere e, difatti, rispondono ai requisiti di legge, anche se non mancano, come in ogni settore, i furbastri. Qui, volutamente, si mettono in discussione i termini usati per indicare le farine, di cui spesso e volentieri si nasconde l’origine del frumento da cui derivano.

L'origine del frumento impiegato

Innanzi tutto ricordiamo che la produzione di frumento in Italia è del tutto insufficiente al fabbisogno interno, per cui si deve acquistare grano dall’estero. Ma non basta: gran parte del frumento prodotto in Italia nasce da sementi sterili (producono solo un anno, poi bisogna ricomprare le sementi) importate dall’estero, elaborate in laboratori che tengono gelosamente nascosti i procedimenti impiegati, che sono dei brevetti di esclusiva proprietà dei grandi produttori di sementi. Si può dunque affermare che una grandissima parte del frumento trasformato in farina dai mulini italiani è di provenienza estera.
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Il vero frumento italiano

Il frumento “italiano”, cioè di storia e ascendenza italiana, rappresenta una piccola percentuale in rapporto alla quantità di frumento lavorato dai mulini italiani. Fra questi frumenti italiani abbiamo ricordato nel numero scorso il Timilia o Tumminia siciliano (antichissimo), il Khorasan pugliese e lucano (antichissimo), il Senatore Cappelli (inizi del ‘900), il Gentil Rosso, il Frassineto, e ce ne sono molti altri, sia grani duri che teneri, tenacemente coltivati dal Nord al Sud dell’Italia da coraggiosi agricoltori, spesso in accordo con sapienti titolari di mulini. Questi sono grani italiani che hanno superato l’esame del tempo e continuano ad essere conservati e coltivati e danno ottime farine sotto tutti i punti di vista.
Ricordo che esiste in commercio anche un ottimo frumento Khorasan prodotto fuori d’Italia da un serio imprenditore americano che lo commercializza con il marchio “Kamut” e tutti dovrebbero sapere che la parola kamut non è il nome di un frumento o di una farina, ma semplicemente un marchio commerciale.

Il fumento pseudo-italiano

Come ricordato qui sopra, gran parte del frumento coltivato in Italia proviene dalle multinazionali che preparano nei loro laboratori e moltiplicano in terreni propri o convenzionati i semi che poi vendono nel mondo. Non si tratta di frumento italiano, anche se viene seminato in Italia, mietuto, trebbiato e venduto ai mulini italiani. Perché è il seme, con le sue precise caratteristiche, con il suo specifico DNA, che caratterizza questo frumento, non la terra nella quale è stato seminato. E questo è il grande equivoco, dovuto a una carenza legislativa. Ed aggiungo: le fortissime lobby delle multinazionali che producono questi semi di grano sono fin qui riuscite a impedire all’Unione Europea di emettere dei regolamenti chiari e precisi sull’argomento, impedendo quindi al consumatore finale – casalinga, forno, pizzeria, pasticcere, ecc. – di conoscere da quale tipo di frumento (quelli delle multinazionali sono indicati con sigle) è stata ricavata la farina con cui è stato confezionato il pane o la pizza o i biscotti che acquista. Ma gli equivoci continuano anche sotto altre forme. Ci sono farine provenienti da semi di importazione – come sopra indicato – che qualche mulino presenta come “farine secondo natura”, dizione chiaramente di comodo e fuorviante, trascurando volutamente di precisare l’origine del grano impiegato.
Infine, ci sono farine ottenute da miscele di più cerali, spesso di ignota origine, sontuosamente presentati, senza però indicare l’origine della materia prima.

Prospettive

È doveroso dare atto ai mugnai italiani – spesso grandi, moderni e bravi imprenditori – di offrire a panettieri, pizzaioli, pasticceri, casalinghe delle ottime farine e i laboratori interni ai mulini sono costantemente al lavoro per garantire farine sane, igienicamente perfette, con caratteristiche adatte alle varie preparazioni.
Resta comunque vero che l’Italia, per quanto riguarda la farina, dipende in grandissima parte dall’estero. Eppure ci sono ancora molti terreni incolti o non correttamente impiegati, adatti alla coltivazione degli antichi grani italiani. Sappiamo bene che dovremo continuare a ricorrere all’estero, ma aumentare la produzione di Khorasan, Tumminia, Senatore Cappelli, Gentil Rosso, Frassineto, Verna, Mentana e simili significherebbe qualificare ancor più i prodotti dell’arte bianca italiana, fondamentali per caratterizzare il made in Italy gastronomico, che è poi la vera ricchezza dell’Italia.
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Ricetta - Grani antichi e Salmone affumicato

La ricetta di questo mese vuole esaltare i sapori dell’impasto realizzato con farina di grani antichi ( Verna, Autonomia, Abbondanza, Frassineto) e il salmone affumicato.
 
L’impasto è stato realizzato seguendo il metodo indiretto, con la preparazione in due fasi, oltre all’acqua (1 litro) alla farina (1,8 kg), al sale e all’olio, è stato utilizzato il lievito madre, per conferire una profumazione più accentuata all’impasto.
 
La farcitura è stata realizzata con crema di pistacchio, spinaci e finocchi marinati, pomodorini pachino, formaggio morbido, salmone affumicato e fragole.
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di Giampiero Rorato

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