La dolce storia della Polacca

Quest’anno per Natale voglio regalarmi un ricordo. Regalarmi, sì, perché per voi il regalo vero sarebbe scoprire il sapore di ciò di cui vi sto parlando. 
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Ero poco più che un bambino quando, in estate, andavo al mare in quella zona bella quanto bistrattata nota come litorale domizio, a ridosso tra le province di Caserta e Latina. Visto che a muoversi sulla stessa via erano quotidianamente decine di migliaia di auto, tra un semaforo e l’altro, c’era sempre qualcuno che aveva una buona scusa per perdersi. E qualche ritardatario per farsi perdonare aveva sempre una gustosa idea: portare la colazione. Un giorno, parlando tra “piccoli amici” in spiaggia, mi lasciai scappare che “uno dei nostri" sarebbe arrivato portando “le polacche”. 
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E lì capii che per scatenare le fantasie dei più piccoli bastava davvero poco: all’arrivo di Francesco infatti l’unico a gioire per le polacche fui io perché... erano i miei dolci preferiti.
Difficile, per chi viva fuori da Aversa - Comune cerniera tra le province di Napoli e Caserta - e (pochissimi) paesi limitrofi comprendere quella gioia. La quale diventa però molto più comprensibile se si incontra almeno una volta nella vita una polacca. La storia della “polacca aversana” (no, non è un ossimoro) è affascinante almeno quanto quella della Sacher. Si dice che ad aver inventato la celebre torta austriaca sia stato un giovane apprendista cuoco sedicenne, Franz Sacher, trovatosi improvvisamente alla guida della cucina in sostituzione del capocuoco, impossibilitato nel raggiungere i fornelli a causa di un malanno. Dovendo preparare un dolce per alcuni ospiti del Ministro degli Esteri del Paese presso il quale era al servizio, inventò la celebre torta al cioccolato con ripieno di marmellata di albicocche. Il resto è storia nota.
Una simile leggenda riguarda la polacca aversana. In realtà qui le versioni sono più d’una... Quella più diffusa vuole che nel 1926 una suora polacca di stanza ad Aversa presso il Convento delle Cappuccinelle abbia stretto amicizia con i pasticcieri Nicola Mungiguerra e sua moglie, i quali ogni domenica regalavano al convento una “guantiera di paste”, ossia un vassoio di dolci.
Per ringraziarli di tanta bontà, la monaca (la cui identità non è nota e di cui non si è riusciti a recuperare traccia negli archivi) avrebbe dato ai due giovani la ricetta di una torta della sua terra che i pasticcieri poi declinarono anche in una squisita brioche da colazione.
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Una variante della stessa leggenda vuole invece che il regalo dei dolci al convento avvenga solo dopo il dono della ricetta, in segno di gratitudine verso la suora. Un’altra versione della stessa storia ritiene invece che questo avvenimento sia accaduto in realtà nel Medioevo mentre un’ultima leggenda attribuisce la nascita del dolce direttamente alle suore, le quali, ospitando una nobile (qualcuno dice “la regina”) polacca, vollero omaggiarla con un dolce mitteleuropeo.
Ora, come potrete ben comprendere, capire come sia nato il dolce è un mistero fittissimo ma la ricetta non è da meno. Ciascun pasticciere di Aversa custodisce infatti gelosamente la propria polacca, sebbene per tutti l’origine pare sia da riferirsi ai Drożdżówki (panini dolci) realmente realizzati in Polonia, che sono dei lievitati fatti con farina, latte, zucchero, burro e succo di limone. Non è però da sottovalutare la vicinanza con il Rogale marcińskie (cornetto Martinica), in quanto lo stesso viene definito una torta “semi-francese” con molto più latte e burro nell’impasto e dunque molto più vicino alla polacca “nostrana”.
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E se invece così non fosse? Qualche malpensante ritiene infatti che la polacca altro non sia che una rivisitazione del pasticciotto leccese, realizzato dunque allo stesso modo ma con pasta brioche in luogo della pasta frolla. So già che vi starete chiedendo: e il nome in questo caso da dove deriverebbe? Da una somiglianza molto forte con un tipo di scarpa prodotto proprio ad Aversa (che è stato fino a qualche decennio fa un centro particolarmente importante per l’artigianato in ambito calzaturiero): i polacchini, detti così perché nati a Cracovia, allora capitale del Regno di Polonia, alla fine del XIV secolo, da cui il nome "scarpa di Cracovia”. Il Medioevo insomma in un modo o nell’altro c’entra sempre. E la Polonia pure.
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Qualunque sia l’origine comunque, la somiglianza coi dolci polacchi persiste, al punto che alla visita pastorale dell’allora Papa (oggi Santo) Giovanni Paolo II in Campania, nel 1990, ad Aver- sa fu omaggiato proprio con la polacca ed ebbe modo di dire che gli ricordava i Drożdżówki della sua infanzia. 
Vi confesso che ero molto tentato dal darvi una ricetta e avevo addirittura provato a contattare l’erede di Nicola Mungiguerra ma ovviamente l’esito è stato totalmente negativo. Sul web comunque ne trovate moltissime versioni e oggi questo dolce ha iniziato a conquistare non solo il litorale domizio dal quale ero partito coi miei ricordi ma anche altre città della Campania. ll resto del mondo pare debba ancora attendere sebbene tra gli estimatori della polacca, oltre a Giovanni Paolo II, figurano Umberto Agnelli (senatore e alto dirigente di Fiat e Juventus) e Giovanni Leone (Presidente della Repubblica). 
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A provare a esportare la polacca, a dire il vero, qualcuno ci aveva già pensato: il celebre pizzaiolo Gianfranco Iervolino, che per un periodo ha lavorato proprio ad Aversa, ha creato nel 2014 la “Polaccapizza”, una variante del dolce con crema pasticciera e amarene che, sebbene con un impasto diverso, ne ricorda moltissimo consistenza e gusto. E, grazie a questa intuizione, ricevette il premio “Pizza dell’anno” dal Gambero Rosso. Qualche anno fa, inoltre, qualcuno ha registrato un marchio che include nel nome del dolce anche l’articolo (“la polacca”), un logo e un claim. E a farlo non sono stati i protagonisti delle leggende che vi ho finora citato. Sicuramente è stata un’impresa di successo, non c’è dubbio. Ad Aversa però tutti continuano a fare la polacca secondo la propria tradizione e probabilmente avrebbe più senso l’istituzione di un consorzio per la tutela di questo prezioso prodotto. Un problema tuttavia ci sarebbe: la codifica della ricetta! Niente, non resta che andarla a mangiare ad Aversa. E il raggiungimento della meta varrà sicuramente il viaggio.
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di Antonio Puzzi

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