Slow Food Italia

Da questo numero Pizza e Pasta Italiana comincia una collaborazione editoriale con Slow Food Italia, la grande Associazione internazionale no profit fondata da Carlo Petrini nel 1986 in Piemonte con il nome originario di Arcigola. Slow Food lavora in 150 paesi nel mondo e lavora quotidianamente per tutelare la biodiversità, costruire relazioni tra produttori e consumatori e migliorare la consapevolezza che regola la produzione alimentare. L’obiettivo editoriale comune tra due realtà così longeve come Pizza e Pasta Italiana e Slow Food sarà dunque nel solco di quanto abbiamo professato in tanti anni di pubblicazione, eventi e riflessioni: difendere, tutelare e promuovere il patrimonio gastronomico nazionale, valorizzando le buone pratiche dei produttori, dei ristoratori e perché no, invitando i cittadini/clienti a fare altrettanto. 
 
L’articolo di questo mese è inevitabilmente condizionato dalla situazione particolare che stiamo vivendo ma l’autore dell’articolo, Antonio Puzzi (Antropologo dell’alimentazione e giornalista) , ha saputo comunque offrirci riflessioni ed un punto di vista a 360° legati ai temi che vorremo sviluppare in questi mesi. 
 
Nei giorni in cui scriviamo, la tanto agognata fase 2 da più parti evocata non è ancora iniziata ufficialmente né si sa con certezza come le prescrizioni nazionali e regionali consentiranno la lenta rimessa in moto dell’economia del Paese, in attesa di trovare una risposta definitiva al nostro nemico numero 1. Eppure, già in questa delicatissima fase 1 le diversità operative sono state tante: se i DD.P.C.MM. che si sono susseguiti hanno sempre ribadito il divieto dell’attività di ristorazione, in quasi tutta Italia è stato però consentito il delivery, fatta eccezione per alcune aree tra cui quella più densamente popolata da pizzerie, come la Campania. 
 
Più in generale, è tutta Slow Food che inizia a guardare con particolare interesse alle soluzioni offerte dal delivery. I primi segnali arrivano dalla web-app Slow Food in Tasca, inizialmente rivolta solo ai produttori, ristoratori e consumatori associati al movimento che salvaguarda il diritto al cibo buono, pulito e giusto per tutti. Oggi tutti possono accedere all’app che mette a disposizione gli indirizzi dei produttori, delle botteghe e dei ristoratori di tutta Italia e ha di recente aggiunto nelle proprie query di ricerca i produttori e i ristoratori attivi nella consegna. C’è poi addirittura chi, nelle file del movimento, inizia a pensare ai “delivery-bond”, ossia alla possibilità di acquistare oggi alcuni piatti da un ristoratore o da un pizzaiolo della rete che potranno poi essere consumati appena possibile (a casa o al locale): l’obiettivo è di offrire liquidità al mondo della ristorazione, invertendo l’antica pratica partenopea della pizza “ogge a otto”, ossia mangiata subito e pagata la settimana successiva con l’obiettivo di fidelizzare il cliente. 
 
Per fare però il punto della situazione “in prima linea”, abbiamo intervistato alcuni cuochi e pizzaioli dell’Alleanza Slow Food, il progetto che mette in rete gli operatori della ristorazione che sostengono le produzioni di piccola scala, per sapere come si stanno attivando. 

ALESSIO ROVETTA

Tra questi, i primi ad avere puntato sulla consegna a domicilio è stato Alessio Rovetta (7 Ponti), pizzaiolo
di una delle aree più colpite dal Covid-19: la provincia di Bergamo. In piena emergenza Alessio, a nome dell’Alleanza Slow Food della Lombardia, ha portato sostegno ai medici e agli infermieri dei reparti in cui ogni giorno si svolge il pezzo più importante di questa battaglia. 
“Quando ho chiuso la pizzeria a inizio marzo avevo bisogno di un momento di tranquillità. Nello stare a casa, ho capito che questo periodo può essere una risorsa se abbiamo la spinta giusta”. 
 
Così Alessio ha riaperto i battenti con il delivery a inizio aprile: 
“Avevamo voglia di ricominciare ma era anche un’esigenza economica. La mia offerta non è quella di una mera consegna a domicilio ma intende valorizzare il lavoro che svolgo con un prodotto che non necessita di essere consumato subito e che non perde di qualità anche se rigenerato nel forno di casa. Faccio una precottura, faccio raffreddare e conservo in frigo. Volendo, una volta che il cliente lo riceve, può anche decidere di tenerlo in freezer e consumarlo il mese successivo. Dei vari impasti che ho in carta in pizzeria ne ho scelti due per questo progetto: non posso tenere dentro tutto perché in molti casi parte del lavoro si perderebbe”. 
La risposta del pubblico è stata sorprendente: 300 pizze nei primi due giorni di lavoro e tantissimi apprezzamenti ricevuti. 
 
E come venire incontro alle diverse esigenze economiche? 
"Abbiamo puntato sulla semplicità: abbiamo alzato un po’ il prezzo della Margherita e abbassato di poco il prezzo delle altre pizze ma mai abbassando la qualità; preferisco fare una selezione dei condimenti ma senza cambiare i fornitori. Quello che stiamo per vivere è un nuovo mondo, una nuova epoca e chi avrà le idee migliori e più immediate riuscirà a fare la differenza."

JACOPO MECURO

Per Jacopo Mercuro (180 grammi) che opera nel popolare quartiere di Centocelle, a Roma, 
“Il delivery ora è un’esigenza, perché ci permette di restare in contatto con il cliente e di confrontarci con la realtà di un mercato che sta cambiando e che, stando fermo, non riesci ad avere. Non credo insomma che il delivery sia la soluzione a livello economico perché una consegna non equivale a un cliente che si accomoda al locale”. 
 
E allora come affrontare la “fase 2”? Jacopo non ha dubbi:
“Attraverso la comunicazione e il fare rete valorizzando le unicità di ciascun artigiano del gusto”. 
 
Quanto auspicato da Jacopo è un modello che ci spinge a ipotizzare se questa rete non fosse fatta solo di comunicazione ma, come auspica Martì Guixe nel libro “Food Designing” a proposito della “Food Facility”, possa far sì che addirittura un ristorante si affidi a forniture esterne per offrire diverse tipologie di cucina e nel contempo dare solidarietà a quei colleghi che, dovendo ridurre per legge i posti a sedere, avrebbero maggiori difficoltà a lavorare. 
 
E se questo non dovesse accadere, come è ben probabile, ma ogni ristoratore dovesse invece trovarsi a fare i conti con la metà dei posti oggi a sua disposizione, potrebbe essere tentato dallo scegliere materie prime meno costose? 
“Non rinuncerei
mai alla qualità – dice Jacopo. Sto già facendo gli ordini alle stesse persone a cui ordinavo prima. Se tu cambi, calando, questo è il momento in cui perdi”. 

NAUSICA RONCA

Diverso il discorso in Campania. Qui, Nausica Ronca, insieme al marito Pasquale Bisogno e a tutti gli altri colleghi della regione, è stata ferma fino ai primi di maggio. 
“Anche per questo
– dice Nausica – al momento della chiusura abbiamo donato tutte le scorte del locale alla Caritas per soccorrere i Cavesi senza cibo”. 
 
Come sarà la ripartenza? 
“Al rientro le persone di certo non affolleranno i locali. Noi fortunatamente abbiamo da sempre puntato sull’asporto sia come pizzeria sia come cucina ma quando ripartiremo dobbiamo cominciare daccapo, tornare a promuoverci per toccare il cuore della gente”. 
 
A proposito della politica dei prezzi, anche Nausica afferma: 
“Non pensiamo di aumentarli ma neppure di diminuirli. Abbiamo sempre saputo fare la spesa, rivolgendoci ai contadini e seguendo la stagionalità, così otteniamo materie prime a un prezzo che valorizzi il lavoro di tutta la filiera”. 

EUGENIO SIGNORONI

Su questa politica d’azione è d’accordo anche Eugenio Signoroni: 
“Se le osterie e le pizzerie della nostra rete riusciranno a ricominciare la loro attività, anche a ranghi ridotti, non credo che rinunceranno a una scelta attenta dei prodotti, che è ciò che fino ad oggi le ha contraddistinte. Probabilmente, come già peraltro spesso avviene, punteranno su prodotti e piatti semplici, ripescando ricette “povere” che potranno però essere impreziosite dalla sterminata sapienza di cui gli osti sono i più grandi ambasciatori. Gli osti dunque non solo non rinunceranno a scegliere i migliori prodotti disponibili, ma essendo legati in modo vero e profondo alla rete di artigiani a loro vicini, faranno in modo di promuovere ancora più di prima i loro prodotti, consapevoli che la ripartenza dovrà riguardare tutti gli anelli della filiera. Immagino quindi una coesione ancora più stretta tra produttori e ristoratori”. 
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di Antonio Puzzi

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