Campi Flegrei

Vini e cibi tra mare e vulcani

Il mio viaggio nei Campi Flegrei (dal greco φλέγω, “brucio” – Campi Ardenti) dura da quarant’anni. A nord ovest di Napoli il paesaggio si accende di rosso, verde e azzurro mare. Acqua e fuoco si amalgamano tra vestigia d’antiche civiltà. È un legame indissolubile, quello tra i vulcani e i “campi ardenti”, qui acque termali e movimenti tellurici accompagnano il territorio da millenni. Il visitatore si perde tra vigneti a picco sul Golfo e vini che profumano di mare e storia antica.
“La regione più meravigliosa al mondo, sotto il cielo più puro e il terreno più infido”, così nel 1787, Goethe nel Viaggio in Italia.
 

Il vino e i Campi Flegrei
La viticoltura dei Campi Flegrei è senza dubbio eroica: terrazzamenti “scolpiti” a suon di braccia e zappa. I viticoltori difendono il territorio dal dissesto idrogeologico e dalla cementificazione. I vignaioli qui sono straordinarie sentinelle di Bellezza: gran parte del patrimonio viticolo insiste su siti d’interesse storico e archeologico. La natura sabbiosa e vulcanica dei terreni ha salvato le viti dalla Fillossera che distrusse il vigneto Europa da metà ‘800. Il risultato è l’originalità genetica di antiche viti e la coltivazione a “piede franco”, senza innesto. Piccole, grandi vigne quelle flegree, un “sorso” di poco più di 150 ettari. I terreni odorano di zolfo e di mare, ricchi in potassio, con ceneri, tufo, lapilli e pomici che favoriscono una grande diversificazione produttiva. La DOC Campi Flegrei nasce nel 1994. Resilienza pura, di una terra di mare e vulcani che esprime la Falanghina, bianca come l’acqua, e il Piedirosso, rosso come il fuoco. L’origine del nome Falanghina: i greci allevavano la vite strisciante al suolo. Nel sud dell’Italia questo sistema faceva ammuffire l’uva. Fu così che i primi coloni intuirono che alzando la vite su pali di legno, in latino phalangae, la Botrite non faceva danni.
Da questi sostegni, nacque il Vinum Album Phalanginum.
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La Falanghina flegrea è il vitigno a bacca bianca più diffuso della provincia di Napoli. Le analisi molecolari evidenziano una differenza genetica tra il biotipo “flegreo” e quello “beneventano”. Il vitigno è abbastanza vigoroso, rese nella media e vendemmia da inizio settembre a ottobre inoltrato. I vini che ne risultano sono straordinariamente sapidi e di avvolgente mineralità. Il Piedirosso è il vitigno a bacca rossa più diffuso in Campania dopo l’aglianico. Citato da Plinio il Vecchio nel Naturalis Historiae come Uva Colombina.
Tra i primi riferimenti, Nicola Columella Onorati (1804):
“Il piede palombo, uva ancora nera, ma alquanto rada negli acini, i piccoli de’ quali rosseggiano come i piedi de Colombi”.
Detto anche Per’e palummo, perché a maturazione presenta il raspo di colore rosso, simile alla zampa di piccione. Il vitigno è di media vigoria e rese più basse. Gestione ostica in campo e in cantina. Si vendemmia da metà settembre a ottobre inoltrato. Il vino, di grande trasparenza e corredo tannico leggero, regala toni freschi, piacevolmente fruttati con note minerali e salmastre.
 

Gli itinerari flegrei non sono solo “divini”…
…e dunque mi sono fermata a studiare le eccellenze agricole e del mare flegreo.
 

Il Pomodoro Cannellino
È uno dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Regione Campania (Pat). È un’eccellenza dei Campi Flegrei, qui la “gemma” rossa si coltiva già dall’800. La sua sopravvivenza tra Bacoli e Monte di Procida si deve a Vincenzo (1930) e Gelsomina Schiano (1935), contadini e allevatori da generazioni. La coppia lo seminava in abbondanza sul ciglio dei vigneti terrazzati, già dagli anni ’50. Con gli anni, si è passati al sistema del canneto. La famiglia Schiano conserva i semi originali da oltre 80 anni. Il nome deriva dalla forma oblunga e dal tradizionale uso di canne e spago per sostenere le piante. Seminate tra febbraio e marzo, le piantine sono disposte in alti filari, il raccolto va da metà luglio a fine agosto. La buccia è molto sottile e non richiede di essere pelata. Polpa spessa e soda, di colore rosso intenso. Il gusto è un giusto equilibrio di dolcezza, acidità e sapidità. Il Cannellino è disponibile presso aziende, botteghe di Napoli e provincia, ed è presente nei menu di pizzerie e ristoranti flegrei e non solo.
 

La Cicerchia dei Campi Flegrei
Legume antico. Nasce tra i filari di Falanghina e Piedirosso. Conosciuta dagli antichi romani come Cicercula, è stata sostegno fondamentale dei contadini flegrei fino agli anni ’60. La produzione è stata recuperata da un gruppo di contadini tra Bacoli e Monte di Procida. La locale condotta Slow Food sta mettendo in rete tutti gli attori della filiera. Legume con valori nutrizionali interessanti, tondo, bordi irregolari, schiacciati con sfumature dal grigio al marrone chiaro. Gusto deciso, polpa granulosa, sapore che richiama la terra vulcanica.
 
Pisello Santa Croce
Si coltiva tra Pozzuoli, Bacoli, Quarto e Marano di Napoli. Un tempo ricercatissimi per la forma ultra fine e l’ineguagliabile dolcezza. Fino agli anni ’60 erano richiesti in tutta Italia, considerati “oro verde”.
 

La Fava di Miliscola (Pat)
La Fava dei Campi Flegrei, se più grande è detta “vittulana”, se più piccola “quarantina”.
Conosciuta già da Greci e Romani, era onnipresente sulle tavole contadine. Ricca di proteine, vitamine e ferro, si semina in autunno e si raccoglie a marzo. Essenziale per arricchire i terreni di azoto.
 
Il Mandarino dei Campi Flegrei
Si produce tra Napoli, Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Procida e Ischia.
Profumo intenso, polpa succosa, aromatica e dolce. Matura da gennaio a marzo.
Si coltiva in piccoli agrumeti annessi a case di campagna e vecchie masserie.
 

L’oro nero dei Campi Flegrei – La Cozza di Bacoli
Tra Capo Miseno, Baia e il Lago Fusaro, si alleva da secoli il Mytilus galloprovincialis, la cozza mediterranea. Siamo nella caldera del vulcano flegreo, che influenza le caratteristiche marine. Acque mosse da correnti costanti e sali minerali dal fondale vulcanico: l’ambiente ideale per una cozza piena, carnosa, sapida.
Le origini della mitilicoltura risalgono all’VIII sec. a.C. Con la Magna Grecia la cozza diventa simbolo, come mostra una moneta cumana del V sec. a.C. In età borbonica, Ferdinando IV la fa piatto di corte: la zuppa di cozze, tradizione del Giovedì Santo ancora oggi viva.
A settembre 2025, la Mitilicoltura di Bacoli è riconosciuta Patrimonio Culturale della Regione Campania.
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Le ricette e le specialità dei Campi Flegrei
La tradizione della cucina flegrea è fatta di piatti contadini e di recupero, tramandati oralmente da mamme e nonne.
“O’ Tatiello”: pasticcio al forno con pasta mista, sugna, semola, uova, formaggi, salumi e pepe.
“A’ Ciarella”: zuppa di uova e cipolla con sedano, pomodorini, peperoncino, servita con pane raffermo.
“A’ Liatìa”: gelatina con scarti del maiale, aceto, alloro, uvetta e pinoli.
Pizza di Farinella (Pat): farina di mais, pasta di semola, formaggi, salumi, uvetta, pinoli.
Cozze ’mbuttunate: farcite con uova, pan grattato, prezzemolo, legate e cotte in salsa di pomodoro.
Migliaccio dolce di Bacoli: a base di capellini, uova, agrumi, zucchero, burro, Strega. A Pozzuoli si usa il semolino.
Casatiello Dolce di Monte di Procida (De.Co.): pane dolce pasquale senza latte, solo sugna, con criscito. Ricetta tramandata, con confettini “diavulilli” e “cannellini”.
→ Nel 2022 riconosciuto Patrimonio Culturale Immateriale della Campania (Convenzione UNESCO 2003).
→ Ogni anno si celebra con il festival “Re Casatiello”.

In conclusione del mio viaggio in terra flegrea sono sempre più convinta che il vino, come il cibo, sia territorio, comunità, socialità, radici, connessione profonda, appartenenza, identità.

Tutte parole chiave per la felicità.
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di Giulia Cannada Bartoli

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