Radici, territorio e voglia di viaggiare

Matteo Del Peschio, passaparola Bottegacontemporanea

Ci sono luoghi che sono punti d’incontro, non solo tra le persone ma anche tra racconti e idee, tra passato e futuro, tra geografie. Se, poi, alla fisicità del luogo aggiungiamo anche il potere evocativo del cibo e della cucina, ecco crearsi miscellanee di sapori e profumi, dove solo l’esperienza diretta ci dà le chiavi di lettura giuste.
 
Se cercate un posto così, noi vi portiamo da “Passaparola BottegaContemporanea” nel cuore di Vinovo, in provincia di Torino: non un semplice ristorante ma una storia di famiglia che si tramanda da tre generazioni, una fusione di epoche e di vite vissute, di sapori e di design, di memoria e di cucina. Quasi un luogo magico, oseremmo dire, il sogno realizzato di Matteo del Peschio, classe 1988, con radici siculo-campane, studi di interior design e un’eredità familiare legata al mondo della pizza e della ristorazione.
In questo locale moderno e curato in ogni suo dettaglio, Matteo è riuscito a unire la sua formazione nel design alla passione per le migliori materie prime, disegnando per il cliente un’esperienza gastronomica che è un viaggio tra due terre distanti come la Sicilia e il Piemonte, un racconto da cui alimentarsi nel vero senso della parola.
 
Tutto qui gira intorno alla narrazione: dal nome scelto, che è un invito al racconto, ai nomi dei piatti, che sono piccole storie di vita, di prodotti e produttori, di territori. Un esempio? Il Maslè Siculo, salsiccia tipo Bra, battuta di fassona piemontese, julienne di melanzane cunzate, ciliegino di Pachino semy-dry e maionese alla menta di Pancalieri o La gioia delle Masche, ovvero riso gigante di Vercelli, crema di blu di capra, miele di castagno e nocciole Piemonte Igp delle Langhe al caramello salato.
Da Passaparola la cucina e il menù sono omaggi al territorio e al ritmo delle stagioni, con materie prime sempre fresche e di alta qualità, selezionate con cura tra i migliori prodotti regionali e le eccellenze a marchio DOP, IGP e presidi Slow Food. Da fine 2021 inoltre “Passaparola BottegaContemporanea” è parte dell’Alleanza dei Cuochi e dei Pizzaioli Slow Food perché crede nel cibo, quello “buono, pulito e giusto”; quello del recupero della nostra cultura e delle tecniche tradizionali di produzione che rendono possibile un futuro sostenibile e mantengono viva la nostra tradizione.
Abbiamo incontrato Matteo del Peschio per entrare a pieno nel suo mondo prismatico e, da semplici domande, nascono spunti importanti di riflessione per chi opera nella ristorazione e una visione olistica di un mestiere che, se fatto con passione, è tra i più belli del mondo.
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Passaparola vanta tre generazioni di ristoratori: com’è cambiato nel tempo?
La nostra storia nella ristorazione nasce da entrambe le mie famiglie di origine. Negli anni ’60, mio nonno lavorava come cameriere in diversi ristoranti tra Pinerolo e Torino, dopo essere rientrato dalla Germania, dove era stato emigrante. Anche mio padre ha seguito la stessa strada: prima a Colonia, in Germania, dove lavorava come cameriere nel ristorante di suo fratello maggiore. È proprio lì, durante un Capodanno, che ha conosciuto mia madre. Possiamo dire che la nostra famiglia è nata sotto la stella di un ristorante.
Oggi la ristorazione è cambiata profondamente. Anzi, credo che siamo arrivati a un punto in cui servirebbe un ritorno alle origini. La globalizzazione del cibo ha stravolto il panorama: negli anni ’60, ’70 e ’80, a Torino e dintorni si trovavano solo ristoranti o pizzerie tradizionali. Oggi convivono sushi all you can eat, fast food, pizzerie classiche, pizzerie gourmet, locali etnici — dal messicano al siberiano — ristoranti fine dining e trattorie d’autore. Il consumatore ha sicuramente più scelta ma anche il modo di vivere il ristorante è cambiato. E si potrebbe aprire un intero capitolo sul potere d’acquisto dei clienti e su come questo influenzi il nostro mestiere. Ma forse, per ora, mi fermo qui.
 
E come sono cambiati secondo te anche i clienti?
Oggi il cliente è sicuramente più consapevole. È più attento alla dieta, ai valori nutrizionali e utilizza Internet come strumento di confronto costante: ha un’enciclopedia a portata di mano. Lo dividerei in due grandi categorie: da una parte, ci sono coloro che cercano semplicemente una cena abbondante a un prezzo accessibile, senza preoccuparsi troppo di storytelling, ricerca o formazione, quelli che desiderano mangiare bene, senza troppe pretese; dall’altra, c’è un pubblico che cerca un’esperienza, che si emoziona per un abbinamento riuscito, che riconosce la cura dietro una ricetta che unisce tradizione e modernità. Entrambe le categorie sono importanti. Ma è fondamentale, per chi fa il nostro mestiere, capire quale tipo di esperienza si vuole offrire e riuscire a comunicarla con coerenza.
 
Perché il nome “Passaparola”?
Il primo nome del locale fu semplicemente “Passaparola”. Avevamo aperto in una zona non di passaggio, in un piccolo paese della prima cintura torinese e, all’epoca, i social network e il marketing digitale, seppur esistevano, non avevano ancora invaso le nostre vite. Ci è sembrato naturale scegliere un nome umano, vero: un ristorante-pizzeria dove il valore più grande lo dava proprio il cliente, con il suo passaparola. Oggi abbiamo aggiunto “BottegaContemporanea”. Non è un semplice “sottotitolo” ma un vero e proprio manifesto d’intenti. Vogliamo trasmettere l’idea di una famiglia, di una bottega fatta di valori autentici: scegliamo ancora i nostri ingredienti da piccoli produttori, costruiamo relazioni vere. Ma, al tempo stesso, guardiamo a tutto ciò che è contemporaneo: le nuove tecniche di cottura, le evoluzioni del gusto, la formazione continua del personale, la cura di ogni dettaglio che può rendere l’esperienza del cliente unica. “Passaparola BottegaContemporanea” vive esattamente in questa dicotomia: tra tradizione e modernità, tra memoria e ricerca.
 
Che significato ha per te la parola “radici”? E quale la parola “territorio”?
Radici e territorio per me sono come la pelle che indosso. Non potrei essere quello che sono senza di loro. Le radici sono i ricordi vivi dell’infanzia in Sicilia: l’odore della terra appena atterrato, l’attesa emozionata per andare in masseria a prendere la ricotta ancora calda, il profumo inconfondibile della casa di campagna, dove si mescolavano la salsedine, i campi arsi dal sole e la zagara. Territorio, invece, è quello che sono adesso. È la regione dove sono nato e cresciuto, che ogni giorno continua a sorprendermi. È il luogo dove le tradizioni si incontrano con la scoperta, dove il passato ispira il presente e dove nuovi abbinamenti gastronomici nascono ogni giorno.
 
Come definiresti la cucina di “Passaparola”?
La mia cucina è l’unione di tutto quello che sono: radici, territorio, sperimentazione, ricerca e curiosità. Ogni piatto parte da un ricordo, da un ingrediente, da una ricetta che ci appartiene. Poi viene assimilato, reinterpretato e restituito attraverso il nostro linguaggio, la nostra esperienza, e — perché no? — anche attraverso il nostro gusto personale. Anche i nomi dei piatti non sono scelti a caso: sono pensati, ponderati, e vogliono raccontare qualcosa. Vorrei che ogni piatto, nel suo piccolo, potesse educare, incuriosire, far scoprire un pezzo della mia storia. Spero di aver costruito una cucina vera, sincera, che non insegue le mode ma si nutre di memoria e sperimentazione.
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Sicilia, Campania e Piemonte insieme: sotto quale forma?
Bisogna per forza dare una forma? Sicilia, Campania e Piemonte sono semplicemente parte della mia vita. Sono la mia storia, la mia memoria, il mio presente. Per questo mi piace giocare con gli ingredienti e le ricette tipiche di queste tre regioni, sempre con rispetto, senza forzare contaminazioni che non sento vere. A volte convivono nello stesso piatto, altre volte si rincorrono nei profumi o negli abbinamenti. Non cerco di fonderle in modo artificiale: lascio che siano loro, con i loro sapori e le loro identità, a raccontarsi.
 
Tu sei un designer: come ti sei approcciato al mondo del food e soprattutto che tipo di esperienza hai voluto disegnare per chi siede alla vostra tavola?
Oltre a essere ristoratore, ho completato due lauree triennali: una in scenografia cinematografica e teatrale, l’altra in design d’interni. In realtà, si può dire che sono nato in un ristorante… non letteralmente, ma quasi dato che la sera prima che nascessi, mia madre era ancora alla cassa del loro locale. Finito il servizio, andarono in ospedale e il giorno dopo venni al mondo. Credo che questo dica molto su quale sia stata la mia vera casa, fin da subito.
Il mio ingresso nella ristorazione è una scelta di cuore. Certo, nei momenti più difficili, una parte di me si è chiesta dove sarei arrivato se avessi seguito altre passioni. Ma oggi quello che posso fare è portare tutto il mio percorso formativo dentro “Passaparola BottegaContemporanea”: un approccio quasi accademico alla costruzione del locale, una cura minuziosa dei dettagli, il desiderio di trasmettere attraverso ogni elemento — dal piatto alla sala — un’esperienza pensata, disegnata, vissuta.
 
Fate anche pizza, che tipo di pizza?
È sempre una domanda a cui faccio fatica a rispondere, per vari motivi. Non amo incasellare il cibo. La pizza che serviamo oggi ai nostri clienti è – spero - di alto livello e capace di farsi apprezzare. Ma sono certo che tra un anno sarà leggermente diversa: perché non mi piace fermarmi, perché ci sarà sempre un produttore capace di stupirmi con una farina nuova, una tecnica da perfezionare, un’idea da rincorrere.
Se proprio dovessi descriverla, direi che la mia pizza parte dalla tradizione dell’impasto indiretto a lunga lievitazione, con idratazioni alte. Il cornicione è pronunciato ma non invade il morso; l’interno è caratterizzato da un’alveolatura aperta e un profumo netto di grano. Ogni pizza è pensata come un vero e proprio piatto di cucina: grande attenzione alla scelta delle materie prime, studio attento degli abbinamenti, cura perché ogni ingrediente dialoghi con gli altri, senza mai coprirsi. Oggi, forse, qualcuno la chiamerebbe “pizza contemporanea”, io preferisco pensare che sia semplicemente la mia evoluzione personale, giorno dopo giorno.
 
Dimmi una pizza che più di altre rappresenta il locale e un piatto signature.
Negli anni, abbiamo avuto diverse pizze che ci hanno rappresentato, quindi non è facile sceglierne solo una. Se però devo indicarne due che raccontano bene la nostra filosofia, sceglierei queste:
- La Trifula Sota ‘L Roùl, una pizza fuori cottura che unisce stracciatella, battuta a coltello di sottofiletto di fassona piemontese, perlage di tartufo nero estivo, porri di Cervere croccanti ed EVO DOP monocultivar biancolilla.
- A Lè Pròpi Bun-a è invece una pizza che parte da fior di latte e patate al forno con erbe aromatiche. Fuori cottura, viene arricchita con salsiccia tipo Bra, crema di peperone caramellato e scaglie di Castelmagno DOP.

È una combinazione che racconta radici contadine, prodotti d’eccellenza e un’idea di comfort autentico. In fondo, ogni nostro piatto cerca di essere questo: una storia che parte dal territorio ma che ha voglia di viaggiare.
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di Giusy Ferraina

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