Bio Dio! È tempo di cambiare agricoltura

Per ogni ettaro di terra coltivato in Italia si utilizzano 5,2 kg di pesticidi a fronte di una media europea di 1,57 kg per ettaro. È un dato che però non deve trarci in inganno perché per fortuna vi è un importante bilanciamento nella superficie agricola utilizzata in regime biologico.
Con i suoi 2,2 milioni di ettari, il nostro Paese può infatti vantare il 17,4% dei terreni destinati alla produzione “a marchio bio”, confermandosi tra i 10 Stati maggiori produttori di cibo biologico nel mondo e piazzandosi al primo posto per numero di produttori (e al terzo per superficie agricola) in Europa. 
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Negli ultimi 10 anni, il suolo tricolore è diventato notevolmente più green: +96,3% le superfici bio e +80,7% per numero di operatori rispetto al 2010 ma è pur vero che oltre la metà delle superfici sono concentrate in sole cinque regioni: Sicilia, Puglia, Toscana, Calabria ed Emilia-Romagna, rigorosamente citate in ordine decrescente dalla prima. Ed è altrettanto vero che la superficie media delle aziende agricole biologiche in Italia è medio-grande, ovvero 28,6 ettari a dispetto del fatto che la superficie media nazionale di un’azienda agricola è pari a 8,4 ettari. Il nostro è infatti un Paese dove l’agricoltura è ancora per lo più familiare e di piccolissima scala e questa stragrande maggioranza delle imprese agricole sfugge alle rilevazioni perché, in alcuni casi, pur coltivando senza l’utilizzo di pesticidi, preferisce non affrontare il percorso complesso per la certificazione biologica. Ma perché è così importante il biologico? In primis, perché è da circa sessant’anni che si parla dell’impatto dei pesticidi sulla vita umana e sulla biodiversità; in secondo luogo, perché i consumatori sono sempre più indirizzati verso produzioni certificate, spendendo molto di più per portare in tavola un prodotto che abbia una “autorevolezza certificata”.
Il merito di avere affrontato per la prima volta il tema dei pesticidi a livello internazionale è della biologa Rachel Carson che nel 1962 denuncia la profezia di sventura sulla scomparsa della biodiversità nel suo lavoro “Primavera silenziosa”.
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A dire il vero, anche su questo, l’Italia aveva fatto la sua parte: negli anni ’50 infatti il nostro agronomo Giuseppe Candura aveva paventato i danni del Ddt, il quale verrà bandito prima dagli Usa nel 1972 e poi dall’Italia nel 1978. Il problema però non è solo legato alla possibile cancerogenicità dei pesticidi (come emerse per il Ddt) ma a una serie di molteplici altri fattori e i tre principali ve li sintetizziamo di seguito:
1 I pesticidi causano l’allontanamento degli insetti “amici” ovvero quelli che riescono a combattere gli insetti nocivi per le piante;
2 Il costo dei pesticidi è in costante aumento: basti pensare che dal 2006 al 2016 la spesa per il loro acquisto è cresciuta del 50%;
3 Nel mondo si verificano ogni anno circa 385 milioni di casi di avvelenamento da pesticidi, in particolare nelle aree del Sud del pianeta.
Relativamente al terzo punto, va detto che gli avvelenamenti possono essere di due tipi, ovvero: per la mancanza di utilizzo dei dispositivi di protezione individuale durante il lavoro nei campi ma anche per i residui che questi trattamenti lasciano sui cibi. Un recente report ha evidenziato infatti che dall’analisi di alcuni campioni di cibo prodotto da agricoltura convenzionale effettuata nel 2022 solo il 54,81% risultava senza residui mentre il 14,31% presentava un residuo e il 29,89% presentava due residui. I pesticidi però sono davvero dovunque: c’è chi sostiene che basta cercarli per trovarne traccia anche nei posti più impensati. Alcuni esempi: nei parchi giochi, nei giardini scolastici e negli spazi pubblici sono state trovate tracce particolarmente rilevanti di pesticidi in primavera e nella stagione estiva; in Germania invece su 163 siti coltivati in biologico analizzati, 138 hanno presentato tracce di pesticidi trasportati per via aerea.
A tutti questi dati ne vanno tuttavia aggiunti almeno altri due evidenziati da uno studio del 2021: 
Nei campi biologici che non hanno subito trattamenti si verifica un aumento di 129 volte delle frequentazioni dei fiori da parte degli impollinatori (utili per il pianeta ma anche per contrastare gli insetti dannosi); 
Non si assiste ad alcuna variazione di resa in determinate condizioni tra campi biologici e campi coltivati con agricoltura convenzionale. 
Verrebbe da dire: oltre al danno la beffa! Ma allora a chi conviene? Quasi sicuramente non a noi! 
Ecco perché la coalizione “Cambiamo agricoltura” (coordinata dalle principali associazioni di produttori e consumatori che si occupano di ambiente, agricoltura e benessere animale) ha reso accessibile a tutti dal proprio sito l’Atlante dei Pesticidi, un prezioso documento da cui abbiamo tratto i dati che avete appena letto, realizzato grazie al supporto di “Heinrich Boll Stiftung” di Parigi, “Friends of the Earth – Europe”, Fondazione Cariplo e “Pesticide Action Network”. 
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L’obiettivo è quello di far capire a tutti che un altro sistema agroalimentare è non solo possibile ma necessario. Anche perché – cosa non trascurabile – il consumatore è disposto a pagare di più per un cibo con etichetta “green”. Come hanno evidenziato i dati dell’Osservatorio SANA, nel 2022 le vendite alimentari bio nel mercato italiano hanno raggiunto 5 miliardi di euro (ovvero il 3,5% delle vendite al dettaglio biologiche mondiali). A trainare la crescita del mercato sono stati prevalentemente i consumi fuori casa che hanno superato il miliardo di euro, segnando una crescita del +53% rispetto al 2021, risultato della media tra la ristorazione collettiva (+20%) e quella commerciale (+79%) mentre restano più o meno stabili (-0,8%) quelli casalinghi. In un articolo di qualche anno fa per il settimanale “il Venerdì”, l’antropologo Marino Niola – che è, tra l’altro, l’autore del libro “Homo dieteticus” – ricordava che “Le civiltà che ci hanno preceduti sacralizzavano gli elementi della sussistenza. Pane, grano, vino, olio, carne. Per non dire di nostra sora acqua di francescana memoria. Era, di fatto, una certificazione religiosa. Una denominazione di origine consacrata”. Noi, invece – stando a quanto afferma Niola – “della tracciabilità abbiamo fatto un articolo di fede”. Come a dire: abbiamo accorciato il divario tra “bio” e “dio”. Però lo abbiamo fatto per non estinguerci: tutto sommato, una buona motivazione.
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di Antonio Puzzi

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