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Piccola enciclopedia tra storia, tendenze e manie 
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Ultimamente ho riguardato Notting Hill di Roger Michell con Hugh Grant e Julia Roberts. Un film romantico, drammatico, ma anche a tratti divertente. Una delle scene che mi fa maggiormente sorridere è quella in cui il protagonista si trova al ristorante con una ragazza per il loro primo appuntamento: «Cos’è una fruttariana esattamente?» «Beh, noi crediamo che la frutta e la verdura abbiano dei sentimenti e secondo noi cucinare è crudele. Mangiamo solo cose che sono già cadute dagli alberi o dai cespugli, cose in effetti già morte». «Perciò queste carote...» «Sono state ammazzate, sì...» «Oh povere carote!» A farmi sorridere non è il fatto che la giovane in questione sia una “fruttariana”, s’intenda... al di là della comicità insita nel tono e negli sguardi degli attori. Il dialogo però è stato sicuramente spunto di riflessione in termini sia temporali che logistici. Il film in questione risale al 1999 ma le distinzioni tra le varie abitudini alimentari risalgono addirittura alla preistoria. Illo tempore, quando l’uomo poteva cibarsi soltanto di ciò che la natura aveva da offrire, l’alimentazione era a base di frutta, erbe e radici. Nel tempo si è diffusa la caccia ma, essendo una pratica molto rischiosa, il consumo di carne animale restava comunque secondario (oltre al fatto che prima dell’avvento del fuoco la carne risultava poco digeribile); fino a giungere poi ai primi allevamenti circa 10.000 anni fa, quando ovviamente il consumo di carne e derivati si è reso meno raro. L’uomo nasce dunque come onnivoro ma con l’avvento delle prime città organizzate, di un pensiero più complesso e quindi anche (e soprattutto) della religione, le abitudini alimentari si sono modificate e “moltiplicate”.
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La storia del “vegetarianismo” ha inizio proprio a partire dalla nascita dei primi mo- vimenti religiosi, intorno al VI secolo a.C. In Occidente, per esempio, in particolar modo in Grecia, si fece largo l’orfismo ossia un movimento mistico-religioso che aboliva anche solo il pensiero di mangiare carne e derivati. L’intento era quello di purificare il corpo, allontanandosi dalla condizione umana per avvicinarsi a quella divina. Un’idea che ha portato con sé non pochi residui e si è protratta fino a giungere ai dichiarati animalisti, i quali, però, erano maggiormente spinti da ragioni di tipo etico-filosofiche. Ancora, si arriva a Ghandi e i suoi adepti, la cui idea di non-violenza, fondante del credo religioso induista, buddista e giainista, esalta l’idea del rispetto per la vita animale e di tutte le creature, al fine di giungere alla saggezza. C’è chi si è dato (e ancora si da) al vegetarianismo per puro bisogno di benessere, come il filosofo greco Pitagora ad esempio; non è un caso, infatti, che i vegetariani – almeno fino all’Ottocento – venivano definiti “pitagorici”. Potrei continuare scrivere di eventi storici legati al “vegetarianismo” a iosa, ma probabilmente non basterebbe l’intera rivista. Dunque, stabilito che questo fenomeno ha delle origini molto antiche, passerei agli elementi più specifici che lo contraddistinguono. Il “vegetarianismo” esclude a prescindere l’assunzione di carne ma non è una corrente unica, piuttosto un insieme di tipi di alimentazione.
 
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È possibile distinguere, infatti, la tipologia del latto–ovo–vegetarianismo – ovverosia quella dieta che prevede l’assunzione di prodotti di derivazione animale come le uova, il formaggio o il miele e che è la più diffusa in Occidente; la tipologia dell’ovo– vegetarianismo – simile a quella precedente, ma che esclude i prodotti caseari a parte le uova; la tipologia del latto–vegetarianismo, di origine asiatico-indiana, che include i prodotti caseari, ma esclude le uova; ancora, la tipologia del vegetalismo o veganismo – la quale esclude l’assunzione di tutti gli alimenti di origine animale, derivati compresi. Poi c’è il crudismo vegano, i quali proseliti si cibano esclusivamente di frutta, verdura (maggiormente a foglia verde), noci, cereali o semi vari che non sono stati sottoposti a trattamenti termici superiori ai 42°C; infine la tipologia del fruttarismo, la quale a discapito di quanto lasci intendere il nome, non prevede l’esclusiva assunzione di frutta. Anche il fruttarismo, infatti, si divide a sua volta in diverse categorie: c’è chi mangia solo frutta caduta dagli alberi (come la drammatica e simpatica ragazza in Notting Hill), chi si nutre anche di noci e semi, chi cuoce la frutta o anche chi inserisce nella propria dieta legumi, miele, frutta secca, olio e cioccolato. 
Cerchiamo di andare ancora un po’ più nello specifico. Con cosa, in effetti, i vegetariani sostituiscono la carne? Negli anni si sono sviluppate diverse controversie, in merito, soprattutto, all’assunzione delle giuste proteine e vitamine necessarie al corpo umano per sostentarsi (in particolar modo riguardo lo sviluppo dei bambini, i quali spesso – già dallo svezzamento - vengono alimentati o sulla base della dieta del genitore o comunque sono soggetti a problemi fin dallo sviluppo che ha inizio nel grembo, a causa, appunto, di un’alimentazione non adatta da parte della madre). 
Una delle vitamine che maggiormente viene a mancare non assumendo carne e derivati è la B12 (cianoco- balamina), la quale è un nutriente essenziale per il metabolismo dei grassi, delle proteine, per la replicazione del DNA e per le reazioni di metilazione. Chi non la assume tramite alimenti (mangiare carne non esclude a priori la possibilità di non riuscire ad assimilarla) deve introdurla tramite integratori. In ogni caso, ci sono altri elementi che vengono a mancare, dunque, in che modo vengono sostituiti?
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Alcuni dei maggiori surrogati della carne sono i legumi, i quali contengono diverse proteine vegetali e con i quali è possibile preparare, per esempio, hamburger di lenticchie o polpette di ceci. Il più gettonato tra i sostituti però, è il seitan: si dice (e ci credo sulla parola, non me ne vogliate, ma non credo lo proverei) abbia lo stesso gusto e consistenza della carne. 
C’è comunque un problema: per quanto sia infatti veicolo di un elevato apporto proteico, derivando dalla lavorazione del glutine del frumento, non è assolutamente adatto ai celiaci. Impossibile non nominare il tofu, poco calorico, ricco di proteine, povero di grassi e del tutto privo di colesterolo. Si ottiene dalla cagliatura del latte di soia, viene annoverato tra i formaggi vegetali, è usato come base per altri piatti, per preparare insalate o come portata principale. Poi c’è il monpur, un altro alimento derivante dalla fermentazione del grano che ricorda la bresaola, il più delle volte viene usato per preparare dei panini e viene farcito con sale e limone. Ancora, il muscolo di grano, simile al seitan ma ancora più ricco di proteine, è usato per preparare arrosti, spezzatini o come alternativa al ragù di carne. Per la preparazione di gustose cotolette invece gli esperti consigliano una microproteina/ Quorn, ovvero un fungo/muffa, molto proteico (ho l’acquolina in bocca!).
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Per l’assunzione di potassio, magnesio, calcio, fosforo e vitamina C – chi più ne ha più ne metta – c’è il Giaco o Jackfruit (come definito negli Stati Uniti); è molto simile al tofu, è un frutto originario dell’Asia, assomiglia ad un grosso melone spinoso dal quale vengono estratti grandi semi carnosi che si consumano previa cottura. Se questo non bastasse, in sostituzione al pesce, per “assaporare il mare” e assumere Omega-3, basta mangiare le alghe: nori, wakame, arame, dulse e kombu, una scelta ampia e variegata insomma. Queste ultime vengono usate per preparare insalate, sushi o consumate fritte. In ultimo, ma non certo per importanza, c’è il tempeh, ossia la “carne di soia”, un elemento avente origini indonesiane e che si ottiene attraverso il processo di fermentazione dei fagioli di soia gialli. Dicono essere particolarmente digeribile e il più delle volte viene usato per preparare lo spezzatino vegetale. 
Ciò detto, io penso sia giusto che ognuno mangi ciò che gli pare, ciò che più ritiene opportuno in base al proprio bisogno; che sia per una scelta etica, morale, di salute, religiosa, filosofica o per il desiderio di preservare l’ambiente. 
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La produzione e la distribuzione di cibo, per la maggior parte legata alla produzione di carne e latticini, contribuiscono all’inquinamento, certo, ma, ai “non carnivori” spinti dalla salvaguardia ambientale e climatica si potrebbe rispondere che anche l’avocado – per esempio - crea non pochi problemi. Basti pensare che nei luoghi ove viene prodotto – paesi tropicali o sub-tropicali – è causa di deforestazioni e perdita di biodiversità, ma non finisce qui. Per raggiungere i nostri supermercati, l’avocado, il cui consumo è esponenzialmente aumentato nell’ultimo decennio, percorre tantissimi chilometri e questo trasporto ha un impatto decisamente negativo sull’ambiente e la sostenibilità a causa della forte emissione di CO2.
Fermo restando che ognuno è libero di fare le proprie scelte, mi chiedo in ogni caso, perché affibbiare dei nominativi poco consoni a determinati alimenti? Cioè, per quale ragione chiamare il tempeh “carne di soia”? Diciamocelo, non ha nulla a che fare con la carne, siamo onesti e consapevoli. È da ammirare chi, che sia per un motivo o per un altro, riesce a mantenere un proprio regime restando ben ancorato alla propria volontà. Cos’è in fondo che sorregge il mondo se non la volontà? Ecco, proprio a tal proposito, nulla vieta ad ognuno di non condividere ideali altrui – della serie “accetto ma non condivido” – e tutti abbiamo la responsabilità di non interferire con l’altrui pensiero. Come in tutte le cose, anche nella questione alimentazione ci sono pro e contro, la verità sta nel mezzo. Personalmente credo che seguire una dieta sana ed equilibrata, attenendosi dunque al “di tutto un po’, sia una soluzione ottimale. Non tutti però credono nelle stesse cose (e in generale direi meno male), sta di fatto che il cibo è condivisione, è convivialità e niente dovrebbe scalfire questa idea, cosa che invece accade nel momento in cui un vegetariano denigra pesantemente un carnivoro o viceversa. “Vivi e lascia vivere”, no? Dopotutto, inneggiando all’odio e alle critiche rischiamo tutti di “mangiarci il fegato” ... onnivori e non! (scusate, ma non ho resistito).
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Noemi Caracciolo

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