Evoluzione della pizza nel Nord Italia

Diversi studiosi hanno cercato di fissare una data da cui partire per capire la strada che ha imboccato la pizza nel Nord Italia, differenziandosi dalla tradizionale pizza napoletana. Questa ricerca, in verità assai confusa e poco approfondita, ha comunque messo a fuoco il rapporto della pizza con il Veneto.
La data scelta è stata il novembre 2012, quando a Vighizzolo d’Este, in occasione della sesta edizione di PizzaUP, è stato lanciato il “Manifesto della Pizza italiana contemporanea”. Va subito aggiunto che l’evento di Vighizzolo d’Este è stato poi lanciato nel mondo della pizza da un forte battage comunicativo che ha coinvolto anche importanti personalità della gastronomia italiana e che ha lasciato il segno, soprattutto nel Nord Italia e fra i clienti del Mulino Quaglia, ideatore della interessante novità. Il Manifesto dà un “decalogo” cui i pizzaioli dovrebbero attenersi per far sì che, come recita la 10ª regola: “la pizza italiana diventi strumento di divulgazione del gusto italiano e della ricchezza della Dieta Mediterranea, che dai suoi prodotti trae origine”.
Un bell’impegno, non c’è dubbio, ma un po’ presuntuoso perché, diciamolo con franchezza, la pizza è un grande prodotto napoletano, diffusosi già alla fine dell’800 in Nord America e dopo la metà del secolo scorso in Nord Italia, grazie alle migliaia di operai meridionali arrivati a lavorare nelle fabbriche del Nord e alle migliaia di giovani mandati a far servizio militare di leva nelle caserme del Nordest. Il prodotto dell’emigrazione dal Sud al Nord, che ha coinvolto anche numerosi pizzaioli campani, non è stato il primario “strumento di divulgazione del gusto” del Veneto o del Friuli Venezia Giulia. Al contempo ricordiamo per la cronaca che la Dieta Mediterranea è un modo di alimentarsi, studiato da Ancel Keys negli anni ’50 del secolo scorso e diffuso in Sud Italia, Grecia, Spagna e poi Cipro, Croazia e Portogallo; espressione di un’ottima cultura alimentare, si basa su un’ampia varietà di prodotti come ad esempio il grano, da cui per millenni si è ottenuto il pane; l’olio d’oliva, usato nel mondo greco per ungere e massaggiare gli atleti e in quello romano anche per condire asparagi e altre verdure e altri prodotti. La troppa enfasi non è mai consigliata, ma comunque gli incontri di Vighizzolo d’Este e “Il manifesto della pizza italiana contemporanea” hanno aiutato a far considerare la pizza nel suo valore alimentare, preparando bravi pizzaioli a diffondere la pizza “napoletana” e “italiana” nel mondo, preparandola con ottimi prodotti e nel migliore dei modi.
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Tutto era iniziato prima

In verità, nel Nord Italia la pizza non ha conosciuto un’esaltazione solo nel 2012 ma, come sopra accennato, la pizza è nel Nord Italia da subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, quindi attorno al 1950. E ci sono pizzaioli campani che qui producono pizze da oltre 50 anni, come Pino Giordano, oggi uno dei più noti pizzaioli del Nordest. Poi, attorno agli anni ’70 del secolo scorso, oltre ai pizzaioli arrivati dal Sud, sono apparsi anche pizzaioli locali. Da allora, vengono aperte via via nuove pizzerie, quasi tutte organizzate per mangiare la pizza sul posto, tanto che nel decennio dopo si sentì il bisogno di un qualche intervento per formare in maniera seria ed organica i ragazzi desiderosi di intraprendere la professione di pizzaiolo. Iniziò un ristoratore friulano, amante ed esperto della pizza, operante a Caorle, cui si unì qualche anno dopo un manager esterno e, dalla loro unione, partì la prima scuola italiana per pizzaioli. L’idea geniale fu quella di coinvolgere un docente della Facoltà di Agraria dell’Università di Padova che insegnò l’arte della lievitazione, soprattutto quella con lievito madre. Fu un successo! E la Scuola aprì in breve tempo numerose sedi in Italia e all’estero, dalla Francia agli USA. La Scuola - cosiddetta - di Caorle modificò la pizza tipica di Napoli proprio nella elaborazione delle palline di pasta, pronte dopo prolungata fermentazione e maturazione, rendendo la pizza, anche se sostanziosa, molto più leggera e digeribile.
Sempre dalla Scuola di Caorle e da questa rivista, che ha raggiunto i 33 anni di vita, mai fermandosi, nacque l’annuale Campionato Mondiale della Pizza, caratterizzato da una serie di concorsi per specialità, con confronti e dibattiti che favorirono una maggior diffusione della pizza italiana nel mondo, come ad esempio nei Paesi arabi, in Giappone, in Cina, in Australia. Con quell’evento si iniziò ad offrire (e si continua ancor oggi) ai pizzaioli provenienti da tutto il mondo un palco dove scambiarsi idee ed esperienze, confrontare le varie tecniche operative e ove è possibile individuare le nuove tendenze, come avvenne più di dodici anni fa per la gara di “Pizza a due”: una competizione in cui un pizzaiolo - che prepara il disco di pasta – gareggia assieme ad un cuoco qualificato che realizza la farcia, e che voleva simboleggiare l’avvicinamento tra pizza ed alta cucina, facendo nascere la cosiddetta “pizza gourmet”.
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Questa rivista ha già raccontato le ricerche, le esperienze e i risultati raggiunti da ormai numerosi pizzaioli italiani che hanno sperimentato nuove forme di pizza, facendo evolvere questo piatto, tanto da poter essere presentato in ristoranti stellati. In questa occasione, desidero riferirmi a due personaggi veneti la cui attività può essere d’esempio a molti pizzaioli che desiderano rinnovarsi per rispondere ai gusti detti anche “esperienziali”, perché regalano nuove, interessanti, piacevoli esperienze gustative. Renato Bosco, con attività a San Martino Buon Albergo (Pizzeria Saporè) in provincia di Verona, è un serio professionista, da sempre innamorato di pane, dolci, pizze e lievito madre. Perché è diventato un importante personaggio, studiato, ascoltato, imitato non solo nel mondo della pizza? Bosco, un bel giorno, s’è guardato attorno e ha fatto delle scelte. In particolare, per lui la materia prima deve essere per quanto possibile del territorio, impiegata solo quando è pronta, quindi nel rispetto della stagionalità e, fra i prodotti stagionali del territorio, impiega solo i migliori. La sua regola è: filiera corta e prodotti freschi di assoluta qualità. Bosco ha capito che scegliendo i prodotti migliori della sua terra e impiegando il lievito madre, può preparare pizze di grande bontà, con attenzione all’antica tradizione delle focacce morbide, servite in spicchi, sapientemente farcite con prodotti o locali o stagionali.

Verso il futuro

Perché abbiamo citato Renato Bosco e Simone Padoan? Semplicemente perché stanno mostrando che il pizzaiolo ha la possibilità di soddisfare nuove esigenti richieste, giocando su impasti e accostamenti, uscendo dai canoni storici della pizza tradizionale. Certo, non è facile, perché, oltre a possedere una grande cultura professionale, bisogna sentire dentro la voglia ed avere poi il coraggio di lasciare la tradizione sperimentando nuove strade; bisogna trasformare la stessa sala dove i clienti mangiano la pizza in un salotto elegante che già da solo ci dice che lì si è in un ristorante importante, dove la professionalità del cuoco-pizzaiolo offre piatti diversi, spicchi che incantano, quasi si fosse nei celebrati ristoranti pluristellati che attirano i gourmet da tutto il mondo. E poi Bosco e Padoan non sono solo pizzaioli, sanno fare il pane e sono pure raffinati pasticceri!
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Per capire le novità apportate da Renato Bosco (e dal suo collega Simone Padoan), occorre anche sapere che la parola “pizza” per lui non si riferisce solo alle preparazioni storiche, tipo la “Margherita” e simili, ma anche ciò che somiglia a una focaccia, preparata con i medesimi ingredienti della pizza ma con diversa lievitazione e farcitura Altro personaggio importante nella nostra storia, come abbiamo appena ricordato, è Simone Padoan, veronese con attività a San Bonifacio (I Tigli). Per lui, la parola pizza è un piacevole pretesto per giocare con intelligenza su questo vecchio piatto che, nel corso degli ultimi decenni del secolo scorso e nei primi due di questo, ha assunto forme nuove sia nell’impasto con lievito madre che nella farcia. La pizza di Padoan regala gusti nuovi, nuove esperienze gastronomiche, tanto da essere stata definita da qualche esperto “Pizza gourmet”.
La conclusione? Nel Nord c’è già stato, negli anni ’80, un centro innovatore che va ricordato come la “Scuola di Caorle” e, in questi ultimi due decenni, le notevoli esperienze di Bosco, Padoan e – aggiungo - Denis Lovatel di Alano di Piave (Belluno), ci assicurano che il Nordest non solo s’è fortemente innamorato della pizza ma ha dei pizzaioli che stanno aprendo nuove strade per fare della pizza un piatto per raffinati gourmet e i locali dove la si produce dei luoghi gastronomici ricercati dai buongustai internazionali. Ciò non toglie che vi sia ampia rappresentanza per il lavoro dei pizzaioli legati alla tradizione, i quali negli ultimi tempi, frequentando corsi di varia specializzazione, sono diventati esperti di farine, di lievitazione tradizionale e col lievito madre, di farce nuove e sperimentali, dimostrando di saper essere al passo con i tempi e capaci di soddisfare bene le esigenze dei loro clienti.
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Di Giampiero Rorato

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