Enrico Crippa, uno chef che onora la cucina italiana

Salito ormai da tempo e meritatamente nell’Olimpo della gastronomia italiana e internazionale, il Piazza Duomo di Alba racconta non solo in modo straordinario la cucina delle Langhe, terra di grandi vini e di meravigliosi tartufi bianchi, poiché questo ristorante è uno dei vertici sommi della cucina italiana e internazionale. Enrico Crippa, come ci ha raccontato nella conversazione che segue, ha fatto sua, con Gualtiero Marchesi, la sostanza vera e più nobile della cultura gastronomica italiana e, nel contempo ha maturato due esemplari esperienze in Francia e in Giappone, cogliendo il meglio di queste due grandi cucine. Patito delle materie prime, segue con scrupolosa serietà l’orto di casa, con un collaboratore che sa tutto sugli ortaggi e poi continua nella ricerca dei prodotti che possono ulteriormente valorizzare la sua eccellente cucina, visitata dai gourmet di tutto il mondo. La matura professionalità di Enrico Crippa non necessita certo di presentazioni. Tuttavia, per i nostri lettori, gli abbiamo chiesto, di raccontarci in breve il percorso che l'ha portato a diventare uno dei più importanti protagonisti dell'alta cucina italiana e internazionale.
 
Ho iniziato da giovanissimo con Gualtiero Marchesi al ristorante di Milano in via Bonvesin della Riva. Dopo questa esperienza sono stato in Francia: Christian Willer alla Palme d'Or di Cannes, Gislaine Arabian al Ledoyen di Parigi, Antoine Westermann al Buerehiesel di Strasburgo Alla fine delle esperienze francesi, il Maestro Marchesi mi chiese di tornare in Italia per l’apertura de L’Albereta e in seguito andai in Giappone per il suo Bistrot a Kobe. La mia avventura in Giappone proseguì al Rhyga Royal Hotel di Osaka. Al mio rientro in Italia collaborai ancora con Marchesi a L’Albereta. In seguito mi avvicinai a casa, in Brianza, lavoravo in un piccolo hotel e lì avvenne l’incontro con la famiglia Ceretto che mi portò ad Alba per il progetto di Piazza Duomo. Prima dell’apertura di Piazza Duomo ho avuto la fortuna di lavorare al fianco di Michel Bras a Laguiole e di Ferran Adria a El Bulli di Roses.
 
Questa storia e questo suo percorso professionale ci colpiscono molto e sappiamo che la sua cucina si basa sull'utilizzo di prodotti di alta qualità e di prossimità. Come è arrivato a queste scelte?
In verità non è letteralmente una scelta di prodotti di prossimità: quando trovo un ingrediente che ritengo ottimo e ideale per la mia cucina lo prendo anche da lontano. La scelta comunque è quella di avere vegetali dal nostro orto, prodotti con metodi naturali e che ci riportano sapori autentici. Un ritorno alle radici e alle espressioni originali del mondo vegetale che abbiamo perso con il tempo. Quotidianamente facciamo ricerca, in cucina e in orto, per sperimentare nuovi prodotti e nuove culture che introdurremo poi nelle nostre proposte stagione dopo stagione.
 
Che riflessi ha questa scelta nel tipo di cucina che propone ai suoi clienti? Come viene influenzato il prodotto trasformato?
I riflessi dovuti a queste scelte ci conducono a una cucina del momento, in evoluzione quotidiana perché sono proprio i prodotti dell’orto a variare quotidianamente e così una zucchina raccolta oggi avrà sapori e consistenze adatte magari a un antipasto mentre quella che raccoglieremo domani giocherà un altro ruolo nei miei piatti. Questo aspetto è terribilmente affascinante per me: nel corso degli anni abbiamo adottato tecniche al mondo vegetale che una volta erano retaggio delle preparazioni di carni e pesci.
 
Ci può parlare di come è nata l’idea dell’orto e di come questo influenzi le vostre scelte gastronomiche? Come viene gestito e con quali criteri e obiettivi?
Come già detto l’idea nasce dalla volontà di riscoprire quei sapori che le scelte del mass market ci hanno portato via. A seguito della seconda stella Michelin, a fine 2009, abbiamo deciso con la famiglia Ceretto di iniziare questa avventura che oggi conta circa tre ettari e mezzo, una serra tecnologica e un Garden Manager, Enrico Costanza, che è un’enciclopedia vivente del mondo verde. Con lui, gestiamo le semine, i raccolti degli elementi a diversi stadi e sperimentiamo colture per le stagioni successive; quotidianamente sono con lui al mattino al momento della raccolta: questo è un momento importantissimo per me perché trovo ispirazione per l’utilizzo degli ingredienti che raccogliamo e riesco magari a capire come declinare la preparazione di un determinato prodotto per quel giorno.
 
Il periodo trascorso di riflessione e forzata chiusura influenzerà in che modo le scelte fatte finora, se accadrà? Più in generale quali riflessioni le va di condividere con i nostri lettori?
Il momento che abbiamo passato è stato completamente inaspettato ma non ha influenzato e non influenzerà la mia cucina e la sua espressione. Ho approfittato di questi mesi per dedicarmi sempre all’orto e alla programmazione e ora che siamo ripartiti mi sento pronto come prima della chiusura. Anzi, un po’ di più.
 
Come pensa di reagire al mondo necessariamente diverso in cui ci troviamo e troveremo a vivere?
Con la stessa determinazione, tenacia e sensibilità di sempre. Penso sia il momento di non snaturarsi, non sconvolgere chi siamo e ciò che abbiamo proposto. Il segnale da dare è quello di consapevolezza del momento e di interpretazione dei tempi, ma senza dimenticare quanto fatto fino a ora.
 
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Di David Mandorlin

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