Il pane in Italia

Impariamo a conoscere e a valorizzare i pani tradizionali italiani, figli di una storia spesso millenaria e sono pani che hanno superato indenni carestie, invasioni, guerre e pestilenze, raccontandoci la straordinaria bontà di quanto abbiamo ereditato dalle precedenti generazioni.

L’Italia è il paese del pane e ricordiamo che la civiltà mediterranea si fonda su tre prodotti agricoli: frumento, olio e vino, ciascuno dei quali nell’antichità aveva uno o più dei che li proteggevano. Demetra era per i Greci la dea dei cereali mentre per i Romani la dea che proteggeva le messi era Cerere. In realtà era la stessa dea che era chiamata in modo diverso dagli antichi Greci e dagli antichi Romani. Per l’ulivo e per l’olio la dea protettrice era Atena per i Greci e Minerva per i Romani. E per la vite e il vino il dio protettore era Dioniso per i Greci e Bacco per i Romani. 
Questa premessa per ricordare che la civiltà del pane, prodotto ottenuto dalla farina di grano (tenero o duro), discende da una concezione religiosa fin dai tempi più antichi, per cui il pane è considerato da molto civiltà e, fino a qualche decennio fa, anche in tutta Italia, un cibo sacro.
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Da quando l’umanità primitiva, ancora nomade, ha scoperto il valore alimentare dei semi dei cereali e ha cominciato a raccoglierli, quindi a pestarli, bagnare la farina ottenuta, impastarla e cuocerla, ha capito il valore di quei semi. E quando gli uomini da nomadi divennero stanziali e coltivarono la terra hanno seminato per avere quei grani sempre a disposizione e ottenere dapprima una farina sempre più fine e poi un pane che i Greci tra il VI ed il V sec. a. C. producevano ben 72 tipi diversi: 50 di impasto semplice e 22 più complessi (gli antenati della pasticceria). Rinomati erano per esempio i pani di Cappadocia (lievitato col latte) e di Cipro (cotto sotto la brace) o il profumato amolgée, il pane dei contadini. Il più celebre dell'intera produzione attica era il pane venduto nell'agorà: «sì bianco che l'eterea neve vince in candor», secondo l'elogio che ne fa Archestrato di Gela (IV secolo a. C.).

La tradizione Italiana

Proprio come era successo in Grecia, quando i primi fornai greci, nel 168 a.C., furono importati a Roma, anche la città dei Cesari conobbe una molteplicità di tipologie di pane e come le legioni romane si spostavano a Sud e a Nord della penisola e andavano anche in tutta Europa e nel Vicino Oriente, portavano con sé e diffondevano la cultura romana del pane. Ed è per questo che già in epoca romana si hanno nei vari territori italiani dei pani fra loro diversi i quali, nel corso del tempo, si sono modificati o per miglioramento delle tecniche produttive o per il contributo di ottimi panettieri o perché si sono evoluti in forme ancora migliori o più adatte al territorio.
In questo mese ci soffermiamo su alcuni tipi di pane, tipici di alcune regioni italiane. Ce ne sono molti altri, tantissimi, come i “bovoli” veneziani che si vedono in un mosaico della Basilica di San Marco, ma nei mosaici e negli affreschi più antichi di tutta Italia appaiono spesso forme di pane che si sono conservate nel tempo.
Se chiediamo a un milanese autentico qual è il pane storico della sua città, ci risponde “la michetta” che è una sorta di crosta di pasta croccante e friabile ripiena d’aria. La michetta è un pane cosiddetto soffiato e come tale presenta all’interno una cavità che nelle migliori realizzazioni è praticamente pari a tutto il volume del panino, crosta ovviamente esclusa.
Del Veneto abbiamo già ricordato il pane più antico, il “bovolo” mentre il più recente è la Ciabatta: un pane diffuso oramai in tutto il mondo. Tra i pani della penisola è quello che più di tutti ha conquistato le tavole, valicando le alpi e gli oceani. La forma allungata, indefinita, ne ha ispirato il nome. È un pane veneto, nato precisamente ad Adria, provincia di Rovigo, dalla bravura di Arnaldo Cavallari, figlio di mugnai, il quale ha messo a punto il procedimento e l’ha registrato nel 1982 come marchio commerciale, sotto il nome di ciabatta polesana poi divenuta ciabatta Italia.
E il pane cafone? Tra i tanti pani a base di grano duro che l’Italia del sud offre, questo fa eccezione essendo lavorato con solo grano tenero. Qualcuno fa risalire il nome di questo pane alla farina grezza originariamente impiegata per produrlo, mentre oggi è quasi universalmente realizzato con farina di tipo 0. È il tipico pane di Napoli diffuso in tutta la provincia, tradizionalmente realizzato con lievito madre.
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Un pane molto conosciuto è il Pane di Matera IGP il quale veniva originariamente cotto in forni comuni: le donne preparavano l’impasto in casa e lo consegnavano ai garzoni dei fornai che lo portavano al forno e lo riconsegnavano cotto e c’era l’usanza di apporre dei segni sulla superficie, mediante timbri in legno, per identificare le pagnotte di ciascuna famiglia. La lavorazione del Pane di Matera è molto particolare e ha nei grani duri di zona e nel lievito madre i suoi ingredienti principali, completati dall’arte dei panettieri che con abili gesta di mani e braccia creano la forma finale di questo pane, appena prima di andare in forno. Gestualità che si tramanda da generazioni e che racchiude in sé buona parte del segreto di questo prodotto.
Forse è un pane poco noto al Nord ma il Pane di Laterza è notissimo in Puglia e in altre zone del Sud Italia. Si tratta di un prodotto di panetteria tradizionale di Laterza, in provincia di Taranto, confezionato con farina di semola di grano duro rimacinata, delle varietà coltivate nei territori del comune di Laterza o in quelli dei comuni limitrofi, mescolata con acqua, sale e lievito madre. Il Pane di Laterza è tutelato da un apposito marchio che certifica le produzioni rispettose di alcune caratteristiche e fasi di produzione obbligatorie: solo grano duro, acqua, sale, lievito madre, lievitazione di minimo sei ore, pezzatura da uno, due o quattro kg, cottura lenta e prolungata in forni a legna alimentati con essenze tipiche della zona. 
Molto interessante il pane prodotto in una vasta area tra Puglia e Basilicata, con la semola di grano Khorasan, coltivato pare dall’arrivo dei Greci che fondarono la Magna Grecia tra Altamura e Matera. Il pane ottenuto da questa semola è naturalmente profumato, dura nel tempo ed è molto nutriente.
Il sud della penisola è famoso per i suoi tanti ottimi pani tipici, perché in queste aree si coltiva il grano duro, e moltissimi pani di zona sono realizzati con sola semola rimacinata di grano duro e lievito madre. Famoso in tutto Italia è il Pane nero di Castelvetrano. Timilia o Tumminia, Russello, Perciasacchi, Biancolilla, Bidì sono tutte varietà di grano duro tradizionali dell’isola: la loro unione crea le basi per la realizzazione del pane nero di Castelvetrano, in particolare la Timilia, responsabile del caratteristico colore scuro. Un pane inizialmente diffuso in tutta l’isola, poi quasi perduto per via delle contaminazioni della ricetta tradizionale sopraggiunte nel tempo. Solo recentemente è sorto un presidio che ha riunito gli ultimi produttori storici di questo pane, mentre alcuni mulini tradizionali a pietra che ancora lavorano i grani antichi locali, contribuiscono al rilancio di questa specialità. La lievitazione è al 100% con lievito madre e, la cottura lenta in forni a legna, il colore scuro, la crosta dura cosparsa di semi di sesamo, il profumo intenso, il sapore con note dolciastre e tostate: un insieme di caratteristiche che rendono questo pane unico e inconfondibile. In questi ultimi tempi si è capito che il pane ottenuto dalla semola degli antichi grani siciliani è di gran lunga superiore per bontà, fragranza e piacevolezza a certi pani realizzati con farine d’importazione, anche perché i pani realizzati con antiche farine locali hanno il profumo della storia e il sapore della vera civiltà.
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di Giampiero Rorato

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