L’ARTE DEL PIZZAIUOLO DI POMPEI

Storia tragicomica di una notizia

È il 27 giugno quando il Direttore del Parco archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, fa diramare all’ufficio stampa del sito culturale tra i più visitati del mondo un comunicato che fa rapidamente il giro del mondo. Il titolo è apparentemente innocuo: “Pompei: emerge una natura morta dai nuovi scavi della Regio IX.” Ciò che però scatenerà i “soliti tifosi” della squadra “la pizza è nata a Napoli” contro quelli de “la pizza è ovunque e Napoli non ne è la capitale” è il contenuto della prima riga: “Sembra una pizza, quello che si vede su un dipinto pompeiano di 2000 anni fa”.
Quel “sembra”, tipico del dubbio delle discipline umanistiche è tuttavia seguito da una specifica: “Sembra una pizza […] ma ovviamente non lo può essere, a rigore, dato che mancavano alcuni degli ingredienti più caratteristici, ovvero pomodori e mozzarella”. Ed è da questa frase che vogliamo aprire la nostra riflessione. Cos’è una pizza? È vero che senza l’introduzione di pomodoro e mozzarella sulla tavola mediterranea non possiamo parlare di pizza? Ma andiamo con ordine e proveremo a rispondere a questo più avanti.
Lo stesso comunicato stampa risolve infatti subito una questione: “Si suppone che accanto a un calice di vino, posato su un vassoio di argento, sia raffigurata una focaccia di forma piatta che funge da supporto per frutti vari (individuabili un melograno e forse un dattero), condita con spezie o forse piuttosto con un tipo di pesto (moretum in latino), indicato da puntini color giallastro e ocra”.
 
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Siamo dunque in presenza di qualcosa di nuovo?
Assolutamente no: è tuttavia la riprova figurata di quanto ci ha consegnato a imperitura memoria il grande vate, Virgilio. Si legge infatti ancora nel comunicato stampa: “Da un passo nell’Eneide di Virgilio (libro VII, v. 128 sgg.), si può dedurre il posizionamento di frutta e altri prodotti dei campi su pani sacrificali che fungono da “mense”: nel momento in cui gli eroi troiani mangiano dopo la frutta, anche i pani usati come contenitori (mense), si accorgono nell’epos virgiliano, che si è verificata la profezia secondo la quale avrebbero trovato una nuova patria, quando “spinto a lidi sconosciuti, esaurito ogni cibo,” la fame li avrebbe portati a “divorare anche le mense””.
E, a specificare questa associazione, è proprio Zuchtriegel stesso: “Oltre all’identificazione precisa dei cibi rappresentati – commenta il direttore del Parco Archeologico di Pompei – ritroviamo in questo affresco alcuni temi della tradizione ellenistica, elaborata poi da autori di epoca romana-imperiale come Virgilio, Marziale e Filostrato. […] Come non pensare, a tal proposito, alla pizza, anch’essa nata come un piatto ‘povero’ nell’Italia meridionale, che ormai ha conquistato il mondo e viene servito anche in ristoranti stellati””.
Il problema non è dunque se quella è una pizza o una mensa ma da quando la mensa finisce di essere tale e diventa una pizza. Potremmo dire che ciò accade proprio nel già citato passo dell’Eneide:
 
“Enea, i capi supremi e Iulo si distendono sotto i rami d’un albero altissimo: preparano i cibi, mettendo sull’erba larghe focacce di farro come fossero tavole (consigliati da Giove), e riempiono di frutta i deschi cereali. Allora, consumati quei poveri cibi, la fame li spinse ad addentare le sottili focacce spezzandone l’orlo. Ahimè – fece Iulo, scherzando – noi mangiamo anche le nostre mense”.
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Oppure addentrarci in una questione tutta filosofica e rispondere come Giordano Bruno: “Se il punto non differisce dal corpo, il centro da la circonferenza, il finito da l’infinito, il massimo dal minimo, sicuramente possiamo affermare che l’universo è tutto centro, o che il centro de l’universo è per tutto, e che la circonferenza non è in parte alcuna per quanto è differente dal centro, o pur che la circonferenza è per tutto, ma il centro non si trova in quanto che è differente da quella”.
In parole povere, vuol dire che la verità è negli occhi di chi la scrive. Per comprendere ci. che intendo, vi faccio alcuni esempi: l’edizione online del celebre magazine Focus pubblica al momento della scoperta un articolo firmato da Elisabetta Intini con il titolo “È una pizza, quella raffigurata in questo affresco scoperto a Pompei?”.
Poi, però, ripensandoci, corregge il tiro e oggi la notizia è in rete titolata come: “Non può essere una pizza, quella raffigurata in questo affresco scoperto a Pompei”. Decisamente più salomonica è la scelta di Sky Arte che punta su un “Da un affresco di Pompei emerge un antenato della pizza”.
Euronews, la prima testata giornalistica comunitaria, è invece affetta da indecisione. Il titolo è, infatti, vicinissimo a quello di Sky (Pompei, l’antenato della pizza raffigurato in un affresco) mentre nella didascalia alla foto si parla di “proto-pizza” e in calce, sotto l’ultima foto, prima delle pubblicità si legge: “Offerte simili sono raffigurate in circa 300 altri affreschi e opere d’arte nell’area di Pompei, nella provincia meridionale di Napoli”.
 
Un pentimento tardivo dell’autore, forse, che, nel corso del testo, ha affidato un commento all’archeologo Alessandro Russo che lavora presso il sito culturale di Pompei, sottolineando che “sebbene nel parco archeologico esistano dipinti di focacce e altre focacce con condimenti, questo ha una strana somiglianza con quella che oggi conosciamo come pizza”.
Fin qui dunque l’informazione generalista, che prova tuttavia a entrare nel dettaglio quando vuole insegnarci così una pizza: ”La classica pizza come la conosciamo oggi è fatta con due ingredienti principali che non erano disponibili 2000 anni fa, quando è stato realizzato questo dipinto: i pomodori, che sono stati portati in Italia dopo la colonizzazione spagnola delle Americhe nel 1500, e la mozzarella, che sarebbe diventata popolare intorno al 1200 nella stessa regione di Pompei”. Così scrive Euronews, così pensano in molti. Ai giornalisti che non si occupano di gastronomia, insomma, non la si fa: la pizza è col pomodoro! Con buona pace di Alexandre Dumas che ci parla della pizza con pesce e formaggio e delle tante testimonianze di Mastunicola, ben più datata delle nostre pizze “rosse” che – secondo alcuni – addirittura sarebbero novecentesche.
Tempo perso. L’articolo più divertente resta per. quello di Tiscali News: alla Sardegna questa storia non è proprio andata giù, a dire il vero. E così, in un articolo senza firma, si legge nel titolo: “La bufala della pizza millenaria di Pompei”. Il sommario recita poi senza mezzi termini: “In molti l’hanno descritta così esagerando e sbagliando”. Incuriositi, siamo andati fino alla fine dell’articolo per capire i motivi di tanta sicumera ed ecco che troviamo quanto segue: “A prendere le distanze dalla faciloneria di certi titoli è stata la stessa gestione del sito archeologico di Pompei che ha emanato una nota ufficiale in cui si legge: “Sembra una pizza, quello che si vede su un dipinto pompeiano di 2000 anni fa, ma ovviamente non lo può essere, a rigore, dato che mancavano alcuni degli ingredienti
più caratteristici, ovvero pomodori e mozzarella””.
Piccola svista o scivolone voluto? Tutto è partito proprio da quella nota, infatti e non il contrario… basta cercare date e orari delle pubblicazioni per capirlo.
 
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di Antonio Puzzi

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di Antonio Puzzi

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