Birra: conoscerla, conservarla e servirla

Conoscenza, conservazione e servizio. Sono questi gli aspetti che deve curare con attenzione il ristoratore che vuole gestire una carta delle birre artigianali. La formazione è fondamentale per offrire ai propri clienti prodotti come le birre di qualità, vista la crescente richiesta di queste bevande, presenti in numero sempre maggiore sul mercato. Per gestire un discreto numero di birre, che possano trovare la giusta collocazione in abbinamento al menu della cucina, bisogna saperne riconoscere le caratteristiche, conservarle nel modo corretto e completare il lavoro con un servizio adeguato.

Conoscenza

Conoscere ciò che si propone al cliente non vuol dire ricordare il nome e il grado alcolico della birra, così come non basta conoscere lo stile. È fondamentale conoscere le caratteristiche organolettiche della birra, soprattutto per capire quale prodotto può soddisfare le richieste del cliente o quale abbinamento è possibile realizzare con i piatti proposti nel menù. Per essere pronti a dare consigli sulla scelta, o per raccontare il prodotto stesso, bisogna aver assaggiato le birre che si propongono e conoscerne le caratteristiche. La descrizione di queste caratteristiche deve avvenire attraverso l’utilizzo di termini condivisi. Per fare ciò in maniera corretta, bisogna dunque adottare un metodo d’identificazione delle proprietà della birra. Ispirandoci all’esame organolettico effettuato dai degustatori di birra di Unionbirrai, l’Associazione di categoria dei piccoli birrifici indipendenti italiani, vediamo come possiamo descrivere le caratteristiche di una birra.
Innanzitutto si devono eseguire tre diversi tipi di esami: visivo, olfattivo e gustativo.
 
Nell’esame visivo andiamo prima di tutto a controllare la schiuma, verificando la presenza nel bicchiere, che può essere assente, scarsa, presente o abbondante. La presenza della schiuma è diversa secondo lo stile birrario, quindi se in una weisse ci aspettiamo di trovare una schiuma abbondante, lo stesso non accade per un lambic. Altro parametro da valutare è il colore della schiuma: bianco, avorio, beige, marrone o rosato. Per finire verifichiamo la grana e la persistenza del bicchiere: mentre la prima la definiamo fine, media, mista o grossolana, in funzione delle dimensioni delle bolle, la persistenza (breve, media o lunga) la valutiamo considerando il tempo di permanenza dello strato di schiuma a copertura della birra sottostante.
Definiti i parametri della schiuma, andiamo a verificare le caratteristiche della birra, partendo dal colore. I malti caratterizzanti e l’eventuale presenza di frutta, determinano il colore della birra: giallo paglierino, giallo dorato, ambrato, ramato, marrone, marrone scuro, nero e rosato. Al colore dobbiamo aggiungere la trasparenza, che ci permette di definire la birra torbida, velata, limpida o brillante.
 
Dopo gli occhi, analizziamo la birra col naso, passando all’esame olfattivo.
Il primo parametro che verifichiamo è l’intensità, definendo la birra poco intensa, abbastanza intensa, intensa o molto intensa. Il passo successivo è la descrizione di ciò che avvertiamo al naso, riconoscendo alcuni descrittori: maltato, erbaceo, floreale, fruttato, speziato, lattico, acetico, affumicato, tostato, legnoso ed altro ancora. Per finire, andiamo a individuare la persistenza olfattiva, che possiamo definire come la capacità dell’intensità di mantenersi costante nel tempo. La persistenza può essere breve, media o lunga.
A questo punto passiamo all’esame gustativo.  Partiamo anche qui con l’intensità, definendo la birra, come nell’esame olfattivo, poco intensa, abbastanza intensa, intensa o molto intensa. Il passo successivo è quello del riconoscimento delle caratteristiche gustative, utilizzando i cinque descrittori che possiamo trovare nell’assaggio: dolce, amaro, acido, salato e umami. Definito il gusto, individuiamo il corpo facendo scorrere la birra sulla lingua per determinare se è acquoso, esile, medio, pieno o robusto. Successivamente si stabiliscono le sensazioni boccali, che rappresentano l’esame tattile della birra, dove determiniamo alcuni parametri come la secchezza, la frizzantezza e il calore. Ultimo parametro da definire sono la persistenza del gusto e l’intensità in restrogusto e retrolfatto.
A conclusione della degustazione, possiamo individuare anche l’armonia della birra, paragonando i descrittori olfattivi con quelli gustativi, per capire quanto di ciò che abbiamo sentito con l’olfatto lo abbiamo ritrovato anche al gusto, definendo la birra poco armonica, abbastanza armonica o armonica.

Conservazione

La birra artigianale è un prodotto vivo e come tale va trattato con estrema cura, per evitare di vanificare il lavoro del birraio con una cattiva gestione a valle della produzione. I nemici della birra sono tanti, ma con le giuste precauzioni, è possibile una gestione oculata del prodotto finito. Da evitare assolutamente fonti di calore nei pressi delle bottiglie o dei fusti di birra, così come gli sbalzi termici troppo repentini. Altro nemico da evitare è la luce. Bisogna fare molta attenzione a dove disporre le bottiglie prima di servirle ai clienti, evitando vetrine esposte al sole o fonti luminose artificiali a contatto diretto. L’ideale è conservare le birre di alta fermentazione in luoghi freschi e ventilati, magari a temperatura costante (cantina), con la possibilità di refrigerare le bottiglie solo poche ore prima della mescita. Le birre di bassa fermentazione gradirebbero una cella refrigerata per la conservazione ottimale del prodotto. Anche la posizione delle bottiglie nel frigo a colonna è importante, cercando di posizione le birre di bassa fermentazione nella parte inferiore del frigo, più fredda, e quelle di alta fermentazione nella parte superiore. Le birre rifermentate vanno poste nel frigo in piedi, per far depositare i lieviti nella parte bassa della bottiglia.

Servizio

Servire la birra nel modo corretto è importante almeno quanto produrla. Rappresenta l’atto finale di un percorso che porta il consumatore a diretto contatto con il prodotto. La prima cosa da fare è scegliere il bicchiere più adatto, ricordando che birre poco complesse, come le Pilsner, hanno bisogno di bicchieri stretti e alti, per meglio concentrare gli aromi e per aiutare la persistenza della schiuma. Birre molto complesse e alcoliche richiedono bicchieri larghi, per dare la possibilità agli aromi di potersi aprire maggiormente dopo la mescita.
Altro parametro da non trascurare è la temperatura di servizio. Mai servire la birra sotto i cinque gradi centigradi, perché sotto quella temperatura le papille gustative non percepiscono il gusto. In genere la temperatura di servizio segue il grado alcolico, con un valore che in linea generale può essere di due punti superiori a quello dell’alcool della birra. Per esempio, una birra di 7 gradi alcolici può essere servita a 9 gradi centigradi.
Veniamo alla mescita, distinguendo quella in bottiglia da quella alla spina. Quando si serve la birra dalla bottiglia, ci assicuriamo di inclinare, nella prima parte, il bicchiere di 45° per poi portarlo in posizione verticale ma mano che si riempie il bicchiere. Fondamentale in questo caso che si crei un bel cappello di schiuma. Questo protegge la birra dall’ossidazione e ci permette di stabilire se abbiamo lasciato liberare in maniera efficace l’anidride carbonica in eccesso presente nella birra, che va smaltita durante la mescita per evitare di ingerirla e percepirla durante il sorso come eccessiva frizzantezza.
La spillatura viene effettuata con diverse tecniche. Quella tedesca prevede che il bicchiere resti lontano dal rubinetto, con la birra che viene lasciata cadere in maniera da indurre l’anidride carbonica a “rompersi” ed essere liberata nell’aria. Questa operazione viene effettuata tre volte, fino ad ottenere un cappello di schiuma alto che fuoriesce dal bicchiere, e dura intorno ai 7 minuti.
Altra spillatura è quella belga, con il bicchiere inclinato nella fase iniziale a 45 gradi, poi messo verticale man mano che si riempie. Alla fine viene lasciata fuoriuscire una parte della schiuma, poi “tagliata” da una spatola che lascia in bella vista una schiuma fine e compatta lungo tutta la sua altezza. Diverse sono le tecniche della spillatura anglosassone. Mentre le prime due descritte vengono realizzare con il supporto della bombola di CO2, quella d’oltremanica utilizza altre tecniche. La tradizionale da cask, tipica botte inglese, prevede un semplice rubinetto per riempire il bicchiere a caduta. Un’alternativa alla spillatura a caduta è quella a pompa che, per effetto di un sistema di depressione manuale dell’aria, riempie il bicchiere senza l’ausilio di gas aggiunti. Ultima tipologia di spillatura, tipica delle Stout, è quella al carboazoto, che permette di avere una schiuma fine e compatta, tipica delle birre nere irlandesi.
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di Alfonso Del Forno

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